Quando avevo 13 anni volevo una videocamera.
Avrei giocato “al cinema” con le mie amiche, intervistato il matto del paese, magari avrei ripreso qualche gita, o qualche recita scolastica; poi avrei riguardato tutto in un televisore a tubo catodico, così come si guardavano le diapositive delle ferie o gli album delle foto dei matrimoni.
In realtà la telecamera sono riuscita a comprarla solo molti anni dopo, quando facevo l’Università e la prima cosa importante che ho fatto è stato il filmino del centesimo compleanno di mia nonna, montato e messo su DVD per tutti i parenti; e ovviamente per mia nonna che è stata felicissima di rivederlo.
Era il 2005 e a ripensarci adesso sembrano passati mille anni. Da allora quello che mi è rimasto è la voglia di raccontare attraverso le immagini. Devo dire che oggi è decisamente più facile rispetto a 15 anni fa.
Non c’è bisogno di consultare social media guru o appellarci ai digital trend per sapere che i video acquisteranno sempre più spazio anche nelle strategie di comunicazione e marketing.
La verità è che l’umanità cerca da sempre di duplicare se stessa per prolungare il ricordo della vita oltre la vita e si racconta attraverso l’arte, la musica, la letteratura, il teatro e, negli ultimi 200 anni, anche il cinema.
Tra tutti i linguaggi che utilizziamo per narrare noi stessi, quello cinematografico si avvicina di più alla nostra esperienza sensoriale. Oggi è davvero alla portata di tutti: per questo dovremmo sceglierlo come canale privilegiato per trasmettere i nostri messaggi e contenuti.
Tutti abbiamo uno smartphone. L’accessibilità all’attrezzatura necessaria per realizzare fisicamente l’opera, ci lascia liberi di focalizzare l’attenzione sui messaggi e le storie da trasmettere: ecco che dal videomaking siamo passati al videotelling.
Se però è vero che oggi chiunque è in grado di realizzare un buon video con uno smartphone, non è detto che ne sia effettivamente capace. Quello che troppo spesso si dimentica, infatti, è che il video è un vero e proprio linguaggio: per utilizzarlo è necessario conoscerne le regole.
Cominciamo con le regole base, la maggior parte delle quali valgono anche per la fotografia.
La regola dei terzi e il rettangolo d’attenzione
Tracciamo idealmente due linee verticali e due linee orizzontali e suddividiamo la nostra inquadratura in 9 rettangoli della stessa grandezza.
L’occhio dello spettatore sarà attirato naturalmente dal riquadro centrale, il cosiddetto rettangolo d’attenzione e dai punti di intersezione delle linee.
Come regola di base, dobbiamo tenere al centro dell’inquadratura ciò che vogliamo catturi l’attenzione del nostro pubblico. Se stiamo riprendendo una persona che si muove, quindi, dovremo seguirla in modo che rimanga sempre al centro del quadro.
Normalmente non ci facciamo caso, ma succede continuamente negli show televisivi: la telecamera segue il personaggio inquadrato nei suoi piccoli o grandi movimenti, facendo in modo che mantenga sempre la stessa posizione sullo schermo.
Se invece la telecamera è ferma davanti a noi e non abbiamo un operatore a riprenderci, allora teniamo sempre in considerazione il limite del rettangolo d’attenzione e scegliamo l’inquadratura in base alle nostre esigenze di movimento: più avremo bisogno di muoverci, più dovrà essere larga l’inquadratura.
L’inquadratura e l’ambiente
Sembra ovvio ma non lo è: ogni volta che riprendiamo, stiamo riprendendo tutto quello che entra nell’inquadratura. È molto importante sapere cosa c’è all’interno del nostro quadro ed è molto importante che ogni cosa ci sia per nostra scelta e non per caso.
Altra apparente ovvietà: l’inquadratura dev’essere allineata all’orizzonte, a meno che non vogliamo destabilizzare di proposito il nostro pubblico (come Terry Gilliam in Tideland)
Se lavoriamo con un cavalletto, un piccolo trucco è quello di individuare una linea orizzontale nello spazio retrostante alla scena da riprendere e “appoggiarvi” la parte superiore o la parte inferiore dell’inquadratura, aggiustandola in modo che sia perfettamente in linea. Dopodiché possiamo risistemare il quadro sul nostro soggetto.
La linea dell’orizzonte però non è l’unica linea degna della nostra attenzione.
Uno dei più grandi errori di chi si approccia per la prima volta al linguaggio del video è l’eccesso di movimenti. Tutti quanti ci siamo fatti prendere dal fatto di poterci muovere e abbiamo esagerato. In realtà la maggior parte delle volte è lo stesso ambiente che ci viene incontro creando movimenti naturali attraverso le linee orizzontali, verticali e diagonali, che guidano l’occhio dello spettatore.
Allora approfittiamone: scegliamo luoghi che siano già provvisti di movimento intrinseco, o allestiamoli appositamente, invece di improvvisare movimenti strani che potrebbero distrarre lo spettatore dal nostro messaggio.
Abbiamo anche altri modi per dare vitalità e movimento a un’inquadratura fissa: possiamo usare contrasti, simmetrie e ripetizioni.
A volte può bastare un vestito:
Oppure uno specchio:
Dobbiamo sempre fare attenzione, però, a non caricare eccessivamente il quadro. Rischiamo di distogliere l’attenzione dall’oggetto principale.
L’ultimo suggerimento sull’inquadratura riguarda la profondità di campo, ovvero il rapporto di distanza tra il soggetto inquadrato e l’ambiente.
Quando è possibile, cerchiamo di lasciare spazio dietro al soggetto, in questo modo valorizziamo la tridimensionalità dell’immagine.
L’aria in testa e la direzione dello sguardo
Nel gergo degli operatori si dice che un’inquadratura ha troppa “aria in testa” se c’è un’eccessiva distanza tra il limite superiore e la testa della persona inquadrata.
In linea di massima, l’inquadratura deve stare quasi appoggiata alla testa della persona più alta che è nell’inquadratura, senza tagliarla. A meno che, sullo sfondo, non ci sia qualcosa di molto importante, come ad esempio il logo del brand o una porzione di paesaggio particolarmente significativa.
Una volta sistemato il confine superiore della nostra inquadratura, dobbiamo decidere come posizionare i confini laterali.
È vero che ho detto che il soggetto su cui vogliamo attirare l’attenzione va messo al centro dell’inquadratura, ma questa regola generale vale se sta guardando verso di noi o se ci gira completamente le spalle. Se invece sta guardando a destra o a sinistra, allora dovremo lasciare spazio e aria nella direzione del suo sguardo.
Questa regola è particolarmente importante se stiamo riprendendo un’intervista, soprattutto se abbiamo un “campo e contro campo”, ovvero un’alternanza di inquadrature da due telecamere, che ci mostra da un lato chi sta intervistando e dall’altro chi sta rispondendo.
Anche in questo caso, se le persone si muovono, seguiamole con l’inquadratura, tenendo presente che se guardano verso di noi è meglio tenere la figura centrale, mentre se guardano di lato è meglio lasciare spazio verso la direzione dello sguardo.
La regola dei 180°
Ipotizziamo di dover riprendere due persone che parlano tra loro da più di un punto di vista. Dovremo utilizzare contemporaneamente due o più telecamere, oppure ripetere la scena in modo da riprenderla più volte da diverse angolazioni.
Immaginiamo una linea retta che attraversa lo spazio nel punto in cui si trovano i due soggetti e lo divide in due: quello visibile e quello non visibile.
È molto importante che le telecamere e i punti di ripresa siano posizionati sempre e solo all’interno dei 180° scelti, altrimenti lo scavalcamento di campo disorienterà lo spettatore.
In questo esempio (tratto da Lulù – il Vaso di Pandora di Pabst, del 1929) vediamo chiaramente che i due personaggi sembrano guardare nella stessa direzione, mentre in realtà sono posizionati uno di fronte all’altra.
A meno che la nostra intenzione non sia effettivamente quella di disorientare il nostro pubblico, meglio mantenerci nell’emispazio prescelto, senza scavalcare il campo.
La scelta e il posizionamento delle luci
Per una ripresa ottimale dobbiamo avere almeno tre punti luce fondamentali:
- La luce principale (key light) deve illuminare il soggetto in modo da renderlo ben visibile. La posizioniamo a circa 45° rispetto all’asse della camera, fornendo un fascio laterale e non perpendicolare al soggetto. Si creano naturalmente giochi di ombre che movimenteranno il quadro, rendendo la ripresa meno piatta.
- La luce di riempimento (fill light) riequilibra le ombre della luce principale. La mettiamo dalla parte opposta della camera, più o meno con la stessa angolazione, ma più distante, in modo che la luce sia meno forte, più morbida e più diffusa.
- La luce posteriore (back light) dà profondità, staccando il soggetto dallo sfondo. La mettiamo dietro al soggetto oppure di fronte a una delle altre due luci.
La bella notizia è che non è sempre necessario portarsi dietro luci artificiali. Quasi sempre i tre punti luce saranno già naturalmente presenti.
Ora che sappiamo cosa ci serve, basterà posizionarsi nel modo giusto.
Facciamo l’esempio di una stanza con una finestra: se dalla finestra entra molta luce possiamo usarla come key light, posizionando il nostro soggetto a 45° dal fascio di luce, in modo che sia illuminato lateralmente; se siamo fortunati la stanza avrà le pareti bianche: riflettendo la luce saranno le nostre fill light e/o back light. E se una delle due manca, possiamo sempre accendere la luce o un faretto.
Qualche altro consiglio sulla luce
Se giriamo in interno cercheremo, quando possibile, di prediligere la luce naturale di finestre o lucernari, sempre tenendo conto della rifrazione della luce su pareti, superfici chiare e specchi. Se la luce naturale non è sufficiente, ci doteremo di luci accessorie.
Se giriamo in esterno, sceglieremo momenti e situazioni in cui la luce del sole non è troppo forte, come al mattino preso, al pomeriggio tardi, oppure quando il cielo è nuvoloso.
In ogni caso, se usiamo la luce naturale, sia all’interno che all’esterno, teniamo sempre conto dei possibili cambiamenti e dei “movimenti” della luce nel corso della giornata: luci diverse determineranno colori diversi.
Quando utilizziamo strumenti che lavorano in automatico (come la maggior parte dei telefonini), teniamo presente che, in caso di cambiamenti di luce, faranno degli auto-aggiustamenti, ad esempio perdendo e riprendendo il fuoco dell’inquadratura, oppure allargando o restringendo l’iris per fare entrare più o meno luce. Quando succedono queste cose in mezzo a una ripresa non c’è color correction o post produzione che tenga. Quindi, se vediamo passare una nuvola, ci fermiamo e aspettiamo che passi. Se le nuvole sono tante e la luce cambia continuamente, forse è il caso di optare per la luce artificiale o scegliere un giorno più fortunato.
L’importanza dell’audio
Se nel nostro video non c’è nessuno che parla e pensiamo, in un secondo momento, di montare un sottofondo musicale, l’unica cosa di cui ci dobbiamo preoccupare è l’autorizzazione per potere usare le musiche.
Se invece una parte fondamentale del nostro video è costituita da qualcuno che parla allora ripetiamo insieme
IL MICROFONO NON È UN OPTIONAL!
IL MICROFONO NON È UN OPTIONAL!
IL MICROFONO NON È UN OPTIONAL!
Ancora una volta
IL MICROFONO NON È UN OPTIONAL!
Si chiama prodotto AUDIOvisivo perché l’audio è una parte fondamentale. Se una ripresa brutta si può sempre recuperare, un pessimo audio rovina irrimediabilmente anche un ottimo prodotto.
Usare un microfono non significa avere il top di gamma dei microfoni da studio, significa utilizzare uno strumento adeguato. Di strumenti parleremo più in dettaglio in un’altra occasione, per il momento basta sapere che per registrare una voce va benissimo anche il microfono degli auricolari del telefonino. Poi, a seconda dei progetti, sceglieremo il budget da stanziare per le attrezzature.
La cosa importante da capire è che, quando registriamo l’audio direttamente dal microfono dello strumento che stiamo utilizzando (telecamera, fotocamera, telefonino), stiamo registrando un audio ambientale, ovvero tutto quello che accade di sonoro intorno a noi.
Se è vero che l’audio ambientale, tenuto ad un volume adeguato, arricchisce un video, dandogli spessore, è anche vero che una voce umana che parla, registrata insieme ai rumori di fondo, è quasi sempre fastidiosa, a volte addirittura incomprensibile. Ecco perché è meglio avere un microfono che raccolga meno ambiente, da posizionare vicino a chi parla, in modo da avere una qualità dell’audio superiore, che valorizzi veramente quello che viene detto.
Oggi le soluzioni sono veramente a portata di mano, quindi, per l’ultima volta
IL MICROFONO NON È UN OPTIONAL!
Per il momento ci fermiamo qui. Parleremo di campi e di piani, di inquadrature e movimenti di camera, di programmazione e di strumenti. Ma non oggi. D’altra parte una nuova lingua non si impara in un giorno.
Molto interessante, grazie!
Grazie a te Barbara, sono contenta che ti sia piaciuto.