Ciao! Come va?
L’ultima volta stavamo parlando di videotelling e avevamo iniziato a parlare delle regole base del linguaggio video.
Come promesso, in questa seconda puntata entreremo nel vivo delle riprese per vedere come costruire il nostro videotelling utilizzando la telecamera, la fotocamera o il telefonino, qualsiasi cosa abbiamo a disposizione.
Cominciamo parlando dell’inquadratura, che è tutto ciò che fisicamente decidiamo di riprendere. Possiamo classificare le inquadrature in base alla distanza della telecamera, al punto di vista percepito dallo spettatore, alla posizione della camera rispetto al soggetto o alla messa a fuoco dei diversi elementi al suo interno.
Campi e piani
A seconda di quanto siamo vicini all’oggetto della nostra ripresa, decidiamo cosa far vedere dell’oggetto, a quale distanza vogliamo che si senta lo spettatore e soprattutto che tipo di rapporto c’è tra oggetto e ambiente circostante.
Parliamo di campo quando, all’interno della nostra inquadratura, l’ambiente predomina rispetto alla figura umana (o all’oggetto della ripresa). Parliamo di piano quando predomina la figura umana.
CLL – Campo Lunghissimo

L’ambiente esterno è predominante, la figura umana è assente o appena percettibile. È la tipica inquadratura che ci porta in un luogo o in una storia e ci dà una panoramica della situazione. Non sappiamo ancora nulla della storia o dei protagonisti, ma cominciamo a raccontare al nostro pubblico un dove che, il più delle volte, caratterizzerà e influenzerà tutto quello che accadrà al suo interno.
CL – Campo Lungo

La telecamera si avvicina al soggetto. L’ambiente resta predominante, il suo rapporto con la figura umana è quasi schiacciante, ma cominciamo a riconoscere di cosa si tratta. Usiamo questa inquadratura per raccontare quanto l’ambiente stia influenzando la storia del nostro protagonista, che è quasi ridotto a dettaglio al suo interno.
CM – Campo Medio

La figura umana diventa perfettamente distinguibile e comincia a reclamare un’importanza maggiore rispetto all’ambiente, che resta comunque presente in modo importante. Cominciamo a far vedere al pubblico cosa sta facendo il protagonista, quindi diventa importante l’azione, cosa sta facendo, sempre in rapporto con l’ambiente circostante.
CT – Campo totale

La figura umana, a questo punto, è perfettamente visibile nella sua interezza e il rapporto con l’ambiente diventa paritario. L’azione svolta dal protagonista catalizza tutta l’attenzione di chi sta guardando.
Da qui in avanti, continuando ad avvicinarci al soggetto, sarà la figura umana a prevalere all’interno del quadro, quindi parleremo di piani.
FI – Figura Intera

La figura umana viene ripresa dalla testa ai piedi, senza lasciare margine di spazio alla scena circostante. Anche in questo caso, come per il CT, è l’azione ad essere completamente al centro della scena e a catalizzare l’attenzione dello spettatore.
PA – Piano Americano

Questo piano era particolarmente utilizzato nei film western, quando ci si voleva avvicinare ai personaggi per farli vedere meglio, ma non si potevano tralasciare le pistole. Il soggetto è ripreso dall’altezza delle ginocchia/cosce in su, per tre quarti della figura. Ci stiamo avvicinando sempre più al protagonista, cominciamo a conoscerlo meglio, il pubblico lo sentirà sempre più vicino, anche emotivamente.
~P – Mezzo Primo Piano o Mezzo Busto

La figura è inquadrata dalla vita in su. Utilizziamo questo piano per sottolineare l’interazione dei personaggi tra loro e con il pubblico, infatti è tipico delle interviste. Avvicina emotivamente il pubblico ai personaggi, senza eccedere nella confidenza.
PP – Primo Piano

Il soggetto è inquadrato dalle spalle in su. Teniamo sempre presente che, più ci avviciniamo, più il pubblico si sente vicino al protagonista e coinvolto nella storia che stiamo raccontando. Lo spettatore si trova faccia a faccia con il personaggio, a una distanza che denota intimità perché, normalmente, la concediamo esclusivamente a chi è molto in confidenza con noi.
PPP – Primissimo Piano

Siamo vicinissimi. Riprendiamo il protagonista dalla fronte al mento, evidenziando al massimo i tratti del suo volto e la sua espressione. Stiamo cercando la massima empatia da parte del pubblico, vogliamo far vedere cosa prova e cosa pensa il soggetto ripreso, vogliamo che chi guarda si identifichi in ciò che vede.
D – Dettaglio

Focalizziamo tutta l’attenzione su un unico particolare, che può far parte del soggetto, ma anche dell’ambiente circostante. Con questa inquadratura cerchiamo una carica emotiva pura e puntiamo l’attenzione su un punto preciso della scena, che diventa la chiave di lettura per tutto il nostro racconto.
Il punto di vista percepito
Quando raccontiamo una storia, dobbiamo scegliere in quale posizione vogliamo mettere i fruitori di quella storia. Vale per qualsiasi tipo di racconto e naturalmente vale anche per il videotelling. L’inquadratura è uno dei modi più veloci per “assegnare” un punto di vista al pubblico.
Oggettiva

È il tipo di inquadratura più neutrale. Lo spettatore rimane tale e resta fuori dalla scena a guardare. Non stiamo cercando un particolare coinvolgimento, ma vogliamo fare in modo che le cose siano viste da un punto di vista il più oggettivo possibile, appunto.
Soggettiva

Se l’oggettiva è la più neutrale, la soggettiva è la più personale, perché lo spettatore vede lo svolgimento della scena con gli occhi di uno dei personaggi al suo interno. L’empatia in questo caso è al massimo livello.
Di Quinta

Viene utilizzata quando stiamo riprendendo due soggetti che dialogano tra loro. Uno dei due viene inquadrato di fronte, mentre testa e spalla del secondo diventano parte della cornice dell’inquadratura. Lo spettatore ha un punto di vista privilegiato all’interno della scena, senza sentirsi parte agente in essa (come nella soggettiva). Dal punto di vista del coinvolgimento è una via di mezzo tra le due precedenti.
La posizione della camera
Oltre al punto di vista percepito, esiste anche un punto di vista oggettivo, ovvero la posizione fisica della camera rispetto al soggetto ripreso. A seconda di dove posizioniamo l’obiettivo, caratterizziamo il personaggio in modi diversi e arricchiamo incredibilmente il nostro videotelling.
Normale

Se non abbiamo bisogno di caratterizzare in modo particolare i nostri protagonisti, questa è l’inquadratura standard, diciamo quella “giusta”. La camera va posizionata all’altezza degli occhi di chi stiamo inquadrando, in modo che il rapporto con lo spettatore sia completamente paritario e l’immagine risulti bilanciata. Questo significa che se dovete inquadrare (o fotografare) bambini, animali, persone sedute o comunque posizionate in basso, sarà necessario abbassare l’inquadratura fino a raggiungere il livello dei loro occhi.
Obliqua dal basso

La camera è posizionata più in basso rispetto all’occhio del soggetto inquadrato. Utilizziamo questa inquadratura quando vogliamo evidenziare la maestosità del personaggio, la sua superiorità, la sua potenza. Lo spettatore si troverà a guardare il soggetto da una posizione di inferiorità e si sentirà immediatamente intimidito o in soggezione.
Obliqua dall’alto

La camera è posizionata più in alto rispetto all’occhio del soggetto inquadrato. Utilizziamo questa inquadratura quando vogliamo evidenziare il rapporto di inferiorità del personaggio, la sua fragilità, la sua sudditanza nei confronti degli altri personaggi, del contesto, dello spettatore che lo vede, in questo caso, dall’alto al basso.
Plongée

La tipica inquadratura dall’alto, perpendicolare al suolo. Il personaggio inquadrato è schiacciato dal contesto, quasi prigioniero.
Contre-plongée

La camera è rivolta dal basso in alto, sempre perpendicolarmente, enfatizzando al massimo il rapporto di forza del personaggio/oggetto inquadrato rispetto agli altri.
Grandangolare


Non si tratta di una vera e propria posizione, ma della possibilità di usare una lente speciale, in grandangolo, per ampliare l’angolo di campo e inquadrare una porzione più ampia di ambiente. È utile soprattutto quando dobbiamo effettuare delle riprese in interni e abbiamo poco spazio, oppure quando dobbiamo riprendere soggetti molto grandi come paesaggi e architetture particolarmente imponenti.
La messa a fuoco
Scegliere dove focalizzare (letteralmente) l’attenzione dello spettatore, tenendo a fuoco una parte dell’inquadratura invece di un’altra, è un’opzione che abbiamo a disposizione solo se lavoriamo con un certo tipo di attrezzatura.
Se facciamo le riprese con uno smartphone, oggi difficilmente avremo accesso a questo tipo di funzione ma, dato lo sviluppo rapidissimo della tecnologia, vale la pena parlarne.
Profondità di campo

Tutti gli elementi dell’inquadratura sono messi a fuoco, l’attenzione è diffusa su tutta la scena e nessuna parte viene espressamente valorizzata.
Soft Focus

Primo piano a fuoco e sfondo sfocato. In questo caso puntiamo l’attenzione sul soggetto della ripresa e lasciamo che i dettagli dello sfondo si perdano, perché in quel momento, per chi guarda, non devono avere nessuna importanza.
Possiamo utilizzare questa inquadratura anche per non far vedere cosa c’è dietro chi parla. Se ad esempio dobbiamo fare una serie di video tutorial, raccontati da un soggetto, sfocare lo sfondo ci permetterà di non dover fare troppa attenzione alla scenografia e mantenere un’uniformità stilistica anche con le riprese svolte in momenti diversi.
Deep Focus

Sfondo messo a fuoco e primo piano sfocato. L’attenzione dello spettatore viene spostata sullo sfondo e su quello che sta succedendo. Se, ad esempio, il nostro soggetto sta guardando in lontananza, spostare il fuoco da lui allo sfondo ci aiuterà a seguire il suo sguardo.
Movimenti di camera
La prima cosa che ho fatto quando ho preso in mano una telecamera, è stata sbizzarrirmi con i movimenti. La prima cosa che ho imparato quando ho cominciato a usarla seriamente è stata che i movimenti vanno ridotti all’osso e utilizzati solo quando sono necessari.
I movimenti di camera non sono altro che inquadrature all’interno delle quali variano la distanza, l’inclinazione e l’altezza. Tra tutti gli elementi che abbiamo a disposizione per raccontare e dare senso alla nostra storia, probabilmente sono i più potenti, ecco perché vanno dosati con parsimonia.
La carrellata
Nel cinema, spesso la macchina da presa viene spostata fisicamente grazie ad un carrello posto su binari, ma il termine “carrellata” è stato esteso a qualsiasi movimento da un punto A a un punto B che segue un percorso predefinito, in linea di massima lineare, anche se non è sempre così.
In pratica, con una carrellata spostiamo l’attenzione di chi guarda da un punto a un altro e contemporaneamente raccontiamo tutto quello che incontriamo sulla nostra strada. Ecco perché è molto importante sapere bene da dove vogliamo partire e dove vogliamo arrivare, ma anche cosa c’è nel mezzo, perché tutto questo racconterà la nostra storia.
La carrellata può essere in avanti, se ci avviciniamo al soggetto, all’indietro, se ce ne allontaniamo o trasversale, quando ci muoviamo lateralmente rispetto alla scena. Nel cinema viene utilizzata spesso per seguire i personaggi.
Nella nostra economia del racconto possiamo usare una serie di carrellate significative. Eccone alcune:
Pull Back Retraction (Carrellata a distanziare)
La camera si allontana fisicamente dall’oggetto ripreso. In questo modo anche chi sta guardando viene distanziato emotivamente dalla scena e dal suo protagonista.
Back Reveal (Carrellata indietro a scoprire)
Il movimento è sempre all’indietro, ma questa volta la camera, allontanandosi, allarga contemporaneamente il proprio raggio d’azione, rivelando, a poco a poco, una scena che prima non era evidente.
Spin Around (Carrellata circolare)
La camera gira introno alla scena o al protagonista, mostrandoli a 360°. Questo movimento destabilizza lo spettatore, creando un senso di irrealtà o mutamento repentino della realtà.
Collapse Dolly (Carrellata a perdere)
La camera si muove all’indietro, mentre un attore le viene incontro fino a superarla ed uscire di scena lateralmente.
Lo zoom (o carrellata ottica)
Se usiamo lo zoom, la camera è fisicamente ferma, ma noi ci avviciniamo (zoom-in) o ci allontaniamo (zoom-out) dal soggetto regolando la lunghezza dell’obiettivo.
Come per tutti i movimenti di camera, anche lo zoom (soprattutto lo zoom-in) va utilizzato solo se è veramente necessario.
Se decidiamo di usarlo, dobbiamo tenere in considerazione un paio di cose:
- se non abbiamo la possibilità di utilizzare uno zoom ottico, ma solo digitale, la qualità dell’immagine diminuisce vertiginosamente all’aumentare dello zoom.
- se stiamo facendo delle riprese a mano libera, ovvero senza un supporto come un cavalletto o una base stabile che tenga immobile la nostra camera, ogni volta che zoommiamo, ogni piccolo movimento della nostra mano sarà amplificato e la ripresa potrebbe risultare troppo mossa anche se abbiamo un ottimo stabilizzatore.
In linea di massima, è sempre meglio avvicinarci fisicamente al soggetto da riprendere.
Effetto vertigo: carrellata + zoommata
Questo straordinario movimento di camera prende il nome da uno dei film più noti di Alfred Hitchcock: Vertigo (per l’Italia La donna che visse due volte) del 1958.
Il regista cercava un effetto che potesse rendere al meglio il senso di vertigine e lo trovò utilizzando contemporaneamente una carrellata in avanti e uno zoom-out, in una plongée sulla tromba delle scale (in realtà si trattava di un modellino che riproduceva la chiesa nei minimi dettagli).
Panoramica
Con la panoramica la camera resta ferma in un punto, ma ruota sul proprio asse. Una panoramica può essere:
- verticale: dall’alto verso il basso o viceversa
- orizzontale: da sinistra a destra o viceversa
- obliqua: libera in qualsiasi verso
- circolare: attorno a se stessa, sull’asse della telecamera
- a schiaffo: con un movimento velocissimo che unisce punto di arrivo e punto di partenza, rendendo impercettibili le immagini intermedie e creando un effetto sorpresa
- descrittiva: prendendosi il tempo di rivelare tutti i dettagli significativi per presentare un personaggio o un ambiente.
Piano Sequenza
Il Piano Sequenza è un tipo particolare di inquadratura, che viene mantenuta per un periodo più lungo, con diversi movimenti al suo interno, ma senza mai staccare la camera. Salvo rari ed eccezionali casi non ci sono sbalzi temporali e il tempo della storia coincide con il tempo del racconto, ovvero lo spettatore vive in tempo reale ciò che sta accadendo sullo schermo.
Negli anni c’è chi ha cercato di utilizzare un unico piano sequenza per girare un film; in qualche caso riducendo il montaggio al minimo e in punti strategici; in qualche altro caso eliminando completamente il montaggio, quindi realizzando l’intero film con un’unica ripresa ininterrotta.
Un esempio di piano sequenza con montaggio è 1917 di Sam Mendes, nelle sale da gennaio 2020, di cui è possibile vedere una parte di making of
Per quanto riguarda invece film girati davvero in un unico piano sequenza, ho avuto la fortuna di vederne due straordinari alla 70ª Mostra del Cinema di Venezia (2013): Ana Arabia di Amos Gitai e Mahi Va Gorbeh (Fish & Cat) dell’iraniano Shahram Mokri. Questo secondo film, in particolare, è l’unico esempio, almeno per quanto ne so io, di piano sequenza dove tempo del racconto e tempo della storia non coincidono.
Ma basta parlare di film che mi piacciono, altrimenti non la finisco più e qui la cosa sta diventando lunga.
Ultimo consiglio
Adesso che conosciamo tutte le regole base per utilizzare al meglio il linguaggio del video, c’è solo un’ultima cosa da dire: rompiamo queste regole e usiamole per videoraccontare la nostra storia!
L’importante non è fare le cose senza errori, ma scegliere come vogliamo farle. Un errore è un errore solo nella misura in cui è inconsapevole, perché quando rompiamo le regole per scelta e sappiamo quello che stiamo facendo, diventa narrazione e diventa stile.