Le frasi che fanno male alla strategia

Se fate una ricerca su Google per “azienda leader” troverete un numero sconvolgente di imprese che si definiscono in questo modo. Il fatto e le ragioni per cui ciò non ha alcun senso è noto.

Una delle 7 cose a cui pensare prima di creare una strategia è una comunicazione semplice, costruita con parole che ci permettono di farci capire. Le frasi fatte fanno male alla strategia perché hanno ricadute più complesse dell’ironia sul leader da parte dei professionisti della comunicazione. È proprio un problema.

La strategia è un documento interno, che deve essere compreso da tutte le persone che in qualche modo hanno a che fare con il progetto:

  • chi lo crea
  • chi decide, per esempio il direttore marketing e comunicazione
  • il team che ci lavorerà e/o il team esterno, che potrebbe essere l’agenzia che prenderà in carico il lavoro.

La comprensione di queste persone è cruciale per la riuscita del progetto, e prima ancora per la sua stessa possibilità di implementazione. Una parola o un’espressione che può essere interpretata in più modi apre le porte a un ragionamento che conduce a strategie diverse, non tutte adeguate agli obiettivi che l’azienda voleva davvero raggiungere.

In altre parole, se non ci facciamo capire nella fase di scrittura della strategia, chi si occuperà nella sua realizzazione potrà fare un po’ quello che vuole. Gli strategist vengono pagati esattamente per evitare che accada questo. Contenuti e strategia vanno di pari passo. Perciò: essere chiari al massimo, non lasciare zone d’ombra, non prendere scorciatoie, neanche quelle linguistiche.

Eppure le scorciatoie abbondano. Vediamone qualcuna.

360 gradi

Tra le frasi che fanno male alla strategia “360 gradi” è forse la frase più classica e anche la più usata. Si usa in particolare nel mondo dei servizi ed è finalizzata a raccontare che l’azienda è in grado di fare tante cose, di solito dalla progettazione alla realizzazione. Peccato che i “360 gradi”, per chi riceve il messaggio, possono voler dire molto di più.

Per l’esempio l’acquisto di prodotti che sono in qualche modo collegati al servizio in questione; oppure la produzione di questi prodotti; oppure ancora determinati servizi di assistenza relativi a un singolo aspetto di questo servizio. In pratica, quello che determinerebbe davvero un servizio completo, oppure “chiavi in mano”, come si dice a volte.

Verrebbe da dire che se davvero offrite un servizio del genere, perché non usare questi benedetti 360 gradi? E invece no. Perché l’abuso dell’espressione l’ha completamente svuotata. Non significa più niente. È diventata, appunto, una scorciatoia. Inflazionata, oltretutto.

E allora come fare, quando dobbiamo esprimere il senso di un servizio ampio? Lo raccontiamo, semplicemente. È tanta roba? Non importa. Se siamo gli strategist, la nostra priorità è la chiarezza. Poi ci penserà il copy a mettere giù bene il tutto. Siamo anche i copy? Poco male: avere davanti l’intera distesa di quello che dobbiamo raccontare, rendendolo gradevole, ci aiuterà a trovare parole giuste e originali.

Tradizione e innovazione

Forse sarebbe meglio dire “che coniuga tradizione e innovazione”, perché è spesso così che la troviamo raccontata. Cominciamo col dire che questa espressione non è per niente peregrina, perché il rapporto tra la tradizione e l’innovazione è un tema serio e ampiamente studiato anche in ambito accademico, relativamente a moltissimi settori, dalla moda alla tecnologia, alla cultura.

Come spesso accade, però, quando il marketing si appropria di certe espressioni e ne diventa esso stesso il venditore, queste espressioni vengono talmente sfruttate da diventare poco più che gusci vuoti.

Ok, ma cosa fare quando abbiamo davvero un prodotto “che coniuga tradizione e innovazione”?
Anche in questo caso, cerchiamo di spiegare che cosa attiene al mondo della tradizione e che cosa a quello dell’innovazione. Facciamo emergere i punti di contatto tra questi due mondi e, piuttosto, battezziamoli in un modo del tutto originale. Anche qui, preoccupiamoci di farci capire. Dopo sarà molto più facile mettere in bella, pettinare e pubblicare qualcosa che parli di noi, non di un terzo dei brand italiani.

Le persone al centro

Tra le le frasi che fanno male alla strategia c’è un’espressione molto seria, che nasce da una posizione importante per l’azienda: “le persone al centro”. Mettere le persone (o clienti) al centro delle proprie preoccupazioni è un modo di affrontare il lavoro. Si potrebbe scegliere, per dire, di mettere al centro il fatturato (magari questo non lo si dichiarerebbe se non in consiglio di amministrazione, però), oppure il prodotto/servizio, e così via.

Oltre al tema dell’espressione trita e ritrita, anche qui abbiamo a che fare con una delle frasi che fanno male alla strategia perché è una frase che vuol dire tutto e niente. Se davvero mettiamo le persone al centro, probabilmente avremo degli spazi e delle politiche di welfare aziendale molto avanzate; la nostra organizzazione sarà strutturata in modo da valorizzare tutti, sia in termini di opinioni che in termini retributivi; e così via. Stessa cosa quando al centro c’è la clientela. È davvero così?

Una cosa che ci si dimentica spesso è che la strategia non è un documento destinato all’esterno, anzi, è proprio segreto, il più delle volte. E allora, oltre a essere comprensibile, deve essere spietatamente sincero, deve dire la verità. È qui che devono emergere le difficoltà, i problemi, tutto quello che “fuori” non deve essere comunicato. E non sto parlando certo di questioni particolarmente gravi o illegali: in realtà è sufficiente una singola caratteristica di un nostro prodotto per far sì che se ne percepisca l’unicità. Nel bene o nel male.

E allora come facciamo, se vogliamo comunicare quanto siano importanti per noi le persone? Questa è facile: mostrandole. Mostrando le facce, mostrando quanto sono contente le persone di lavorare con noi. Facendole parlare, dedicando loro degli spazi, rendendole promotrici di iniziative, attivando programmi di employer branding seri. E poi comunicandoli, ma con parole nuove, vere. Con le parole delle persone.

Il dono della sintesi: provare, provare, provare!

Queste, come tante altre, sono le espressioni che si usano quando non sappiamo cosa dire. Quando ci mancano le parole per essere precisi. Quando non abbiamo voglia di cercare le parole.

Ricordiamoci che le frasi che fanno male alla strategia non rendono un buon servizio al nostro brand, ci fanno andare più veloci ma stiamo sacrificando l’efficacia. Stiamo accettando, in nome della facilità di scrittura, di essere confusi con chi dice le stesse cose – e no, poi non serve che diciamo “ma io intendevo un’altra cosa”.

Il problema spesso risiede nella difficoltà di sintetizzare quello che abbiamo da dire – e allora avere delle frasi già belle e pronte è un vantaggio considerevole.

Beh, la notizia è che non esiste il dono della sintesi. La sintesi è una capacità frutto di esercizio, come sanno bene i copy. Quindi: provare, provare, provare. Ma, a maggior ragione, a partire da pensieri articolati, ampi e per quanto possibile esaustivi, altrimenti ci perdiamo dei pezzi.

Pensateci.

Giuliana Laurita

Strategist e formatrice, accompagno aziende e persone nel percorso per comunicare bene, soprattutto in rete. Lo faccio attraverso la formazione e la consulenza sui temi della comunicazione, del digitale, dei social media. A volte vado a parlarne nelle scuole con ragazzi, prof e genitori, ce n’è tanto bisogno. Leggo molto, scrivo parecchio e credo che la confort zone non esista. Per nessuno.

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