Scrivi che ti passa

Il periodo è faticoso e c’è grossa crisi in noi tutte: in questo post ho deciso di farti ridere un po’ e mi faccio aiutare da bellissimi esempi di cartelli e avvisi raccolti in rete qua e là. Non so chi me li abbia segnalati né mi ricordo dove li ho trovati: se qualcuna di voi si riconosce come mia pusher, la ringrazio di cuore.

Io dico sempre che le parole che scegliamo parlano di noi, di come vediamo le cose e soprattutto di quello che pensiamo della persona alla quale parliamo o scriviamo. In questo caso specifico, gli avvisi che disseminiamo parlano in maniera doppia di noi e della battaglia che compiamo ogni giorno a fianco o contro questa nostra benedetta lingua.

Eccoli qua, in tutta la loro bellezza, che spesso lascia senza parole.

I treni si effettuano con i pulman

Esempio lampante di cancellazione. La cancellazione è un processo mentale mediante il quale, in maniera consapevole o meno, cancelliamo una parte del discorso che per qualche ragione ci risulta scomoda. Qui forse l’estensore dell’avviso non se la sentiva di spiegare il prequel + il sequel, quindi ha cancellato tutta una parte e alla fine sulla carta è rimasto quello che vedi.

Qual era il discorso originario che il cancellatore voleva, in realtà, fare? Non lo so, perché io non sono in grado di entrare nella testa del “succitato”, ma questa è la versione che avrei scritto io: “Cari viaggiatori, ieri sera il temporale è stato devastante e oggi sulla linea c’è un brutto guasto. Perciò abbiamo deciso di mettervi a disposizione tre pullman che faranno lo stesso tragitto dei treni che oggi stanno fermi. Ci dispiace tanto di causarvi questi fastidi, ma pensate che almeno non siete obbligati a prendere la vostra auto e che raggiungerete le vostre destinazioni per tempo. Grazie a tutti.”

Ah lo so che è più lungo, ma penserai mica che quel “si effettuano” sia meglio? Forma impersonale, tono burocratico, comunicazione secca e unidirezionale stile chisseneimporta. E poi è pullman.

Zucche per Aulin

Come in effetti ti ho anticipato all’inizio del post, in giro c’è grossa crisi. Riconoscerai anche tu che l’aulin ci serve, è diventato un genere di prima necessità: abbiamo sempre male alla testa, un dolore alla cervicale, il trigemino che non ci lascia dormire. Questo Signore del Mercato aveva in mente la cura della nostra salute, quando ha scritto il cartello, e insieme pensava che bisognasse fare qualcosa per Halloween, che scrivilo tu se sei capace. Del resto si tratta di una festa non nostra, portata sicuramente da gente di fuori, che infatti la suora dell’asilo è andata dal bar di fronte a dire che non bisognava diventare pagani con le zucche in vetrina e le ragnatele.

Qui è chiaro che l’estensore dell’avviso era in subbuglio: cioè, ma hai capito che abbiamo finito prima? Ma quando mai è successa una cosa così in Italia che siamo sempre in ritardo? Pensare che in Germania finiscono prima di incominciare. Forse al tipo hanno chiesto di scrivere due parole per avvisare, e il poveretto si è chiesto come si dovesse scrivere per non sembrare ignoranti che scrivono un cartello, ma genti che hanno studiato.

Lui ha fatto appello a tutta la sua esperienza di avvisi, a quella che accomuna tutti noi tapini: avvisi alla posta, al Comune, all’ospedale, nei parcheggi, sui pali della luce, alla stazione, sulle macchinette del caffè. Di solito si scrive che uno sembra importante e di solito si adopera comunichiamo, e si usa una parola come si deve, come precedentemente, e poi non si dice abbiamo finito prima, ma in anticipo. Anche due volte, che si capisca che siamo stati proprio bravi. Ok, chiusura e non chiura, ma avevo fretta, in anticipo.

Che la fine arriva in anticipo è negli occhi di legge (il cartello), dai.

Anche qui il male è in te che lo pensi, eh. Si scrivono così i cartelli, come fa Trenitalia: si avvisano i gentili pazienti (non è che siano sempre gentili, lo so bene, ma quando scrivo rappresento la farmacia e soprattutto la proprietaria che poi rompe i *** se uno risponde secco all’ennesima vecchietta che non capisce un emerito ***). Dicevo che si scrive così perché per esempio quando ti scrive il Comune non c’è mai il soggetto nelle frasi, ma c’è scritto si avvisa (chissà chi è che avvisa) e c’è il passivo, che fa più formale e distaccato. Ok dovevo scrivere dal 2 novembre, ma volevo fare in fretta e tutti sanno che si dice i morti, no?! Però guarda che ho scritto anche grazie per la collaborazione, dai, riconoscilo.

Qui svelo subito che si tratta di un avviso che ho fotografato io, fuori dalla portineria di un palazzo “signorile”, che anche se io sono la portiera, non vuol dire che non svolgo un lavoro importante. Quando l’avvocato dell’alloggio di fronte ha chiuso per il matrimonio della cugina, ha scritto così e io l’ho fotografato e me lo sono tenuto lì per il momento giusto. Una portiera fa un lavoro serio, e il suo alloggio è il suo ufficio, no?! Poi lo so bene che bisogna usare le maiuscole quando si scrive alle persone importanti, e in questo palazzo ci sono solo persone importanti. Anche la bionda che è andata a stare dall’ingegnere che va sempre in America ha una laurea, quindi è importante anche lei. Perciò una deve sapersi regolare e mica può scrivere: “Cari condomini, domani chiudo prima perché c’ho la messa di trigesima”.

Poiché abbiamo tanto da migliorarci, inviateci i Vostri consigli all'indirizzo e-mail

A voler fare i nerd della parola, questo è un messaggio passive-aggressive coi fiocchi. In apparenza è un invito a fornire consigli (e reclami), ma è congegnato in maniera subdola perché la subordinata iniziale pare proprio una pseudo captatio benevolentiae (scusateci, noi siamo piccoli e dobbiamo imparare grandi cose). Dico pseudo perché la scelta non marcata (cioè la scelta “più normale”) sarebbe stata la locuzione avverbiale “Dal momento che”, invece la congiunzione causale “Poiché”, dall’aspetto più ricercato, suona quasi come una sfida a dimostrare che davvero chi legge è in grado di suggerire qualcosa di utile a rendere migliore chi scrive.

E poi, nella frase principale c’è quell’”inviateci”, un imperativo che suona più che altro come un comando a muoversi, se proprio si sente la necessità di inviare consigli (e reclami). Infine, che dire di quella maiuscola di reverenza su “Vostri” che suona come un’altezzosa presa di distanza dal destinatario? E del “Grazie.”? Un grazie secco secco. Punto.

Per finire un mio grande classico datato ottobre 2015: un avviso di Trenitalia sul pianoforte che si trova nell’atrio di Torino Porta Nuova. Quella che leggi in foto è la versione originale: burocratica, distanziante, del tutto non coerente rispetto al messaggio che contiene. Invece questa sarebbe stata la mia, se me l’avessero fatta scrivere:

“Ciao a tutti voi che suonate questo magnifico pianoforte. Da quando ci siete, ogni addio, qui in stazione, è diventato un arrivederci. Le note e le emozioni lo hanno stancato un po’ e ha bisogno di qualche cura. Dal 23 ottobre sarà di nuovo qui, pronto a ricevere le vostre dita e i vostri pensieri innamorati. Grazie a tutti!”.

Le parole che usiamo raccontano tante cose di noi, sempre 🙂

 

Annamaria Anelli

Mi occupo di scrittura efficace, sono una business writer e aiuto le persone a raccontarsi in modo semplice e vero. Insegno al Digital Update, alla UAUAcademy, in Zandegù e al Master in Social Media e Digital PR dello IED di Milano. www.aanelli.it

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2 thoughts on “Scrivi che ti passa”

  1. Sul lavoro sto provando a scrivere in modo più diretto e chiaro, proprio come insegni tu, ma l’ostacolo più grosso sono proprio i colleghi amanti delle maiuscole. Dici che abbandonare il tuo libro sulle loro scrivanie può aiutarmi?

    • Cara Paola, il libro “dimenticato” può essere una soluzione, ma ti devi ingegnare perché essendo un ebook non è così semplice! Spesso le maiuscole sono nella testa 😉

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