Quello che devi sapere sulla web tax

Realizzato con Canva.
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Se sei finita qui chiedendo ‘web tax’ al buon vecchio Google, fai attenzione. Il post che stai per leggere è stato scritto alla fine del 2013 e NON riflette l’attuale formulazione dell’emendamento alla Legge di Bilancio ribattezzato appunto Web Tax e entrato in vigore il 1 gennaio 2019. Per un rapido aggiornamento sull’iter della norma puoi leggere la pagina Wikipedia sull’argomento.

Questo post è dedicato a chi sabato mattina non è riuscito a bere il caffè dallo sgomento (io), a chi leggendo il titolo ha avuto un brivido, ma soprattutto a chi vedendo le parole ‘web tax’ si è chiesto “web che?!” perché non ha idea di cosa si tratti. Insomma oggi a C+B facciamo informazione base e ti spieghiamo cos’è la web tax e perché ti conviene chiamare SUBITO il tuo commercialista e il tuo avvocato per cercare di capire se e come la misura ti riguarderà in qualche modo.

Perdonami fin d’ora se ti farò venire un mal di testa terrificante, e se non riuscirò a semplificare del tutto la materia. La questione non è affatto semplice e le interpretazioni in giro per la Rete sono (anche giustamente, se vuoi) molto viziate dai commenti (per la quasi totalità negativi) degli operatori e giornalisti.

Eppure la questione tocca molto da vicino chiunque acquisti servizi online dall’estero. Praticamente tutte le piccole imprenditrici e freelancer che lavorano con la Rete!

Per questo ti faccio una proposta, consideriamo questo post solo come il punto di partenza per crearci insieme una base informativa. Tu raccogli i pareri dei tuoi consulenti, noi dei nostri. Per quando la Legge verrà pubblicata avremo tutte le informazioni che ci servono!

Web tax, i fatti

Per ora, in ogni caso, ecco i fatti spiccioli:

  • l’Onorevole Francesco Boccia, parlamentare del Partito Democratico, è presidente della V Commissione della Camera, dedicata a Bilancio, Tesoro e Programmazione. Per intenderci, e solo per i fini di questo post, è la sua Commissione che prepara il testo sulla cosiddetta Legge di Stabilità per il voto in Parlamento, dopo che è passata al Senato. Se la Camera approva la Legge, passa anche tutto quello che la Commissione ci ha messo dentro;
  • l’On. Boccia è anche il promotore di un emendamento all’art. 1 della stessa Legge di Stabilità (ce ne sono 745 in totale) divenuto noto nelle settimane scorse col nome di ‘Google Tax’, ‘Amazon Tax’ e poi diventato ufficialmente ‘web tax’. L’obiettivo dell’emendamento è a grandi linee riportare sotto il controllo fiscale italiano le transazioni che avvengono online con aziende straniere per l’acquisto di servizi e inserzioni pubblicitarie in Italia. Per parlarci chiaro, fare pagare a Facebook l’IVA e le tasse in Italia (ora le paga in Irlanda) per le inserzioni della pagina della tua piccola impresa;
  • in Europa altri Paesi (la Francia, per esempio) hanno avanzato l’ipotesi di introdurre norme simili, che infatti sono allo studio del Parlamento Europeo, che a sua volta ha preavvertito i singoli Paesi che legiferare singolarmente prima che lo faccia la UE potrebbe costituire infrazione (per cui si viene multati);
  • venerdì 13 dicembre scorso, in seduta della V Commissione l’emendamento è passato con questa formulazione: “17-bis – 1. I soggetti passivi che intendano acquistare servizi on line sia mediante operazioni di commercio elettronico sia diretto che indiretto, anche attraverso centri media e operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana. 2. Gli spazi pubblicitari on line e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti, quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana. La presente disposizione si applica anche nel caso in cui l’operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti.” E ci è andata bene, perché hanno stralciato il punto “3. Il regolamento finanziario, ovvero il pagamento, degli acquisti di servizi e campagne pubblicitarie on line deve essere effettuato dal soggetto che ha acquistato servizi o campagne pubblicitarie on line esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni ed a veicolare la partita IVA del beneficiario.”

Web tax, l’analisi

Il punto 2 è stato chiaramente pensato per intercettare tutto il traffico inserzionistico che porta i nostri pochi soldini di imprenditrici nelle tasche del Grande Grosso Cattivo Google e francamente è quello che dovrebbe preoccuparti di meno. Se è pur vero che si parla in totale per l’Italia di un traffico di poche centinaia di milioni di euro è fin plausibile che Google si tolga questo dente e apra una partita IVA pur di non perdere una fetta di mercato.

Il vero problema (per me, te e tutte noi) è il punto 1, perché cerca di regimentare il commercio di servizi online. Non ti dico niente di nuovo se ti racconto che la gran parte dei servizi evoluti e di qualità disponibili online e pensati per le micro imprese sono forniti da aziende straniere. Spesso la freelancer italiana passa giorni e giorni a cercare corrispettivi italiani (che sarebbe disposta a pagare anche caro), pur di avere assistenza in lingua e uno strumento pensato per il nostro particolarissimo mercato. Inutilmente. Certe cose, molto semplicemente, in Italia non si trovano.

Ecco, molto in pratica, cosa dice il punto 1 al riguardo:

  1. “I soggetti passivi” sottinteso “di IVA”, cioè il titolare di partita IVA che fa un acquisto sul quale subisce l’imposizione di IVA. Insomma, legalese a parte, si parla di te, imprenditrice o freelancer (a patto che tu abbia una partita IVA) che acquisti qualcosa.
  2. “che intendano acquistare servizi on line” qui ci sono due interpretazioni possibili. La prima e più sopportabile è che si intenda “acquistare servizi online” nel senso di acquistare servizi virtuali o residenti nella Rete, come l’hosting di un sito, l’abbonamento a un servizio di mailing (come MailChimp), ma anche l’abbonamento a una rivista su iPad per dire. La seconda possibilità (e la più inquietante) è che si intenda “l’acquisto fatto online di servizi” quindi che si applichi la norma a tutte le transazioni online per l’acquisto di servizi, dalla progettazione del tuo sito alla sessione di coaching motivazionale, alla licenza per un software o una font, e così via.
  3. “sia mediante operazioni di commercio elettronico sia diretto che indiretto, anche attraverso centri media e operatori terzi” ovvero sia se acquisti il servizio dall’e-commerce sul sito di chi te lo fornisce, sia che questo te lo venda tramite Etsy, sia che l’operazione sia svolta direttamente tra te e il fornitore via e-mail, magari con pagamento tramite Paypal.
  4. “sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall’amministrazione finanziaria italiana”. Questa è chiara, no?

Conseguenze e scappatoie

Ti ci vedi a chiedere a Marie Forleo di aprirsi una partita IVA italiana perché tu vuoi partecipare alla sua B-School? Quasi quasi qui a C+B prepariamo un template gratuito da scaricarti per spiegare la situazione a tutti i tuoi fornitori abituali.

Oppure puoi affrettarti e fare tutti gli acquisti che ti serviranno per i prossimi due anni nel corso del prossimo mese, ovvero prima che la Legge di Stabilità venga pubblicata (sempre che non rendano la norma retroattiva…).

La realtà è che, a meno che la norma non venga stralciata in seguito (“eh, avevamo scherzato”) o venga forzosamente cancellata sotto pressione del Parlamento Europeo, l’unica opzione che mi sembra praticabile è ricorrere alla migliore tradizione italiana… “fatta la legge, trovato l’inganno”. Insomma, ricorrere a una scappatoia, nel nostro caso acquistare i servizi come persona fisica e smettere di inserire i costi a bilancio. Non so te, ma a me la cosa fa infuriare. Ho fatto della mia piccola attività un monumento a trasparenza e legalità, ho passato ore con la mia commercialista a trovare la forma più corretta per svolgere ogni aspetto del mio lavoro e poi mi ritrovo costretta dal mio stesso Stato a fare la furbetta pur di poter continuare a godere di servizi a volte fondamentali per continuare a lavorare?!

Ecco perché mentre tutti speriamo che questa norma venga cancellata, vale la pena consultare commercialista e avvocato per cercare di capire esattamente come pensano verrà applicata e cosa possiamo onestamente fare. Quando hai avuto le tue risposte, mandacele, per favore, cominceremo a raccogliere i diversi pareri da condividere con tutte nelle prossime settimane.

Oh, e buon lunedì, eh.

Barbara Pederzini

Sono una consulente creativa e lavoro soprattutto con marchi e negozi indipendenti del settore lifestyle. Sono anche un'organizzatrice seriale allergica alle convenzioni, e metto queste caratteristiche al servizio delle donne, per aiutarle a disegnarsi una vita su misura.

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17 thoughts on “Quello che devi sapere sulla web tax”

  1. Bell’articolo, molto chiaro.
    Purtroppo sulle interpretazioni qui in Italia ci si creano imperi, io aspetto ancora un pò per lanciare anatemi, perchè son convinta che non passa.
    Sarà solo una speranza? 🙂

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    • Grazie, Lucia. Anche io confido nel “abbiamo scherzato” una volta che tornano i conti. Ma nel dubbio, credo sia sempre meglio che cerchiamo di informarci tra noi, che se aspettiamo informazioni chiare… be’, tanto vale aspettare Babbo Natale per offrirgli quel bicchiere di latte (o White Russian) 😉

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    • Claudia, sì, grazie, tienici nel loop. Davvero mi piacerebbe che tra tutte riuscissimo a formare questa benedetta knowledge base di informazioni. Anche solo per essere pronte a rassicurare le amiche/colleghe quando escono proclami allarmistici 🙂

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  2. Sgomento più totale… Mi vengono in mente solo tre cose:
    1. Grazie Barbara per la chiarezza con cui scrivi che aiuta me, italiana residente all’estero da ormai 12 anni e che di che politica (particolarmente italiana) non ne capisce niente (per scelta… e sì, lo so che é una lacuna enorme, ma mi fa venire da piangere ogni volta che ne sento parlare), a capire questioni che giornalisti non sanno spiegare nè in modo così pratico, nè conciso e unbiased
    2. Se avevo una mezza intenzione di fare anche solo il pensierino di tornare nel nostro bel paese, cose di questo tipo mi ricordano di non fare la burlona con me stessa…
    3. L’Italia merita talento come il tuo e quello di altri imprenditori piccoli ma coraggiosi e super creativi. I politici italiani NO! Se qualcuno vuole scappare, io due camere, quattro posti letto qui a Londra ce li ho. E vi accolgo anche a braccia aperte!
    Xx

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    • Betta, grazie mille del bel commento e dell’invito. Sono tre settimane che dico che piuttosto che vinta, expat tutta la vita! Alla fine sono stufa di sentirmi dire che chi promuove la fuga (di cervelli, imprese, famiglie) è un disfattista che non rispetta la patria. Mi hanno insegnato che il rispetto si guadagna, e chi non se lo merita per me può anche essere lasciato al suo destino. La mia individualità non è definita da un passaporto!

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  3. Purtroppo questa è l’Italia Oggi, la burocrazia non fà altro che indurci ad evadere, perchè? Forse solo per lo strapotere delle LOBI. O di pochi Amici dei Politici o Burocrati…

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    • Tony, io ho una grande ammirazione per le lobby. Quelle vere però. Noi di C+B siamo una lobby vera, nel nostro piccolo. Un gruppo di donne che fanno imprenditoria in un certo modo (evoluto, onesto, corretto, partecipato) e che vogliono fare sentire la propria voce per cambiare qualcosa. Persino fare pressioni.

      Il problema non è lo strapotere delle lobby, ma il corporativismo e il protezionismo.

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  4. Vada per l’imposizione di un socio occulto che mangia metà di ciò che produco senza peraltro aver chiaro se l’entità di ciò che prende è commisurata a ciò che offre.
    Ma che mi si obblighi anche a scegliere partner italiani che nella migliore delle ipotesi offrono servizi sotto la media (se li offrono) ad un prezzo meno vantaggioso è fuori da ogni logica. Gradirei almeno poter scegliere se rifornirmi in Italia (e se conviene – non solo economicamente – ben venga!) al pari di poter guardare fuori dello stivale. Questo è inutile protezionismo (fatto male, tra le altre cose).
    #megafail

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    • Paolino, concordo in pieno. Nel mio caso, davvero, ciò che compro fuori non costa meno di ciò che troverei in Italia. È proprio che in Italia non c’è (o è fatto male in una maniera imbarazzante) 🙁

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