Quanto poco è troppo poco

Il post di due settimane fa sul costo della creatività ha sollevato talmente tante (interessanti e intelligenti) osservazioni, che solo per rispondere a ciascuna arriveremmo a giugno 2014! In effetti, e per ovvi motivi, molti dei commenti che hai e avete lasciato (grazie infinite!) sia qui che su Facebook affrontano argomenti che sono intrinsechi nelle problematiche finanziarie per chi ha un’impresa creativa.

Oggi vorrei scrivere di una che sono sicura ti ha spesso portato a rosicchiarti le unghie durante la pausa caffè: quanto poco è troppo poco? Nel senso di chiedere troppo poco, tanto per intenderci.
Ho alcune amiche freelancer che a questa domanda amano rispondere: “quando il cliente accetta il prezzo senza discutere”. Sono le stesse che di anno in anno aumentano il listino del 10-20% e, giuro, hanno la mia ammirazione incondizionata.

quanto poco è troppo poco

Dal mio punto di vista la domanda ha tre risposte collegate, ma con ripercussioni diverse:

  1. quando non è sostenibile

    Se il tuo costo orario è 35 euro e il prezzo che applichi è l’equivalente di 10 euro l’ora, tanto vale che apri un pop-up shop, perché l’aspettativa di vita della tua impresa è direttamente proporzionale ai risparmi che andranno assorbiti dal fare un lavoro, in buona sostanza, gratis. Perché se il prezzo di vendita di un prodotto/servizio è svincolato da logiche economiche di esercizio, è un prezzo simbolico. Un po’ come l’offerta libera delle torte che le mamme vendono all’uscita da scuola per fare auto-finanziamento. È beneficenza, non commercio.

  2. quando è fatto senza consapevolezza

    Scoprire di essere una brava pasticcera e decidere di vendere le tue torte ai forni della zona, o direttamente al pubblico tramite un e-commerce, può averti dato un esaltante senso di autonomia e genialità imprenditoriale. Ma decidere di vendere le torte a 10 euro l’una perché “ma sì, mi sembra un prezzo equo, poi secondo me mica me le pagherebbero se costassero di più” non è un atteggiamento imprenditoriale. L’imprenditrice accorta e informata, che ha partecipato ai corsi di formazione disponibili sul territorio, ha calcolato i costi che deve sostenere per produrre le torte, ha fatto un po’ di ricerche per capire quali torte si vendono di più nei forni e a quale prezzo. Poi magari ha deciso di vendere le sue torte a 10 euro anche se è troppo poco, perché sa di avere un prodotto unico e paradisiaco e, come il bravo pusher, vuole farlo conoscere a quante più persone per generare la dipendenza… poi alzare i prezzi!

  3. quando fa male al mercato

    Anche il supermercato di zona fa il “sottocosto”, ma annuncia l’eccezionalità dell’evento a caratteri cubitali. Ti sei mai chiesta perché? Non solo perché di sottocosto non si vive, ma anche perché un prezzo basso praticato con regolarità dichiara al mercato di essere il prezzo giusto. Se fai torte nel tempo libero, rientrata a casa dal tuo lavoro full time in ufficio, potrebbe venirti voglia di venderle a 5 euro l’una. Perché dovresti venderle a un prezzo più alto?, ti chiedi, tanto non hai veramente bisogno di quei soldi per vivere, sono un di più. Però non lo dici ai tuoi clienti, i quali cominciano a pensare non già che 5 euro sia un prezzo eccezionalmente basso, ma che i 15 euro richiesti dalla pasticceria all’angolo siano un furto. Ogni volta che pratichi un prezzo talmente basso da essere fuori mercato, e non lo giustifichi al cliente, stai mandando un messaggio sbagliato che ha conseguenze su tutto il mercato di riferimento. Chiedilo alle artigiane che producono bigiotteria, ricami e oggettistica in generale. Chiedi loro che aspettative ha ora il pubblico italiano nei confronti del fatto a mano, anche per colpa di tante ‘casalinghe disperate’ che per anni hanno venduto gingilli e mattonelline solo per gioco a prezzi da Monopoli.

Vendere a poco, persino a troppo poco, per brevi periodi, ha senso solo se è sostenuto da un’attenta strategia di marketing e veicolato da un’accurata e onesta comunicazione. Se lo fai, insomma, sappi perché lo stai facendo e spiegalo bene. Il mercato ti ringrazierà, i clienti lo apprezzeranno, la tua impresa sopravviverà. Un bel successo, direi!

[Oggi, 25 novembre, è la giornata internazionale per eliminare la violenza contro le donne. Verifica le iniziative nella tua città e sostienile come puoi. Se hai un figlio maschio, comincia da lì. Mia figlia in futuro ti ringrazierà.]

Barbara Pederzini

Sono una consulente creativa e lavoro soprattutto con marchi e negozi indipendenti del settore lifestyle. Sono anche un'organizzatrice seriale allergica alle convenzioni, e metto queste caratteristiche al servizio delle donne, per aiutarle a disegnarsi una vita su misura.

Sito | Twitter | LinkedIn

25 thoughts on “Quanto poco è troppo poco”

  1. Concordo in pieno, ci hai visto giusto come sempre!

    Sostengo la frase “..per colpa di tante ‘casalinghe disperate’ che per anni hanno venduto gingilli e mattonelline solo per gioco a prezzi da Monopoli..” fa sorridere, ma è la sacrosanta verità.

    Reply
      • Con tutto il sacrosanto rispetto per tante ‘casalinghe disperate’ che oggi sono imprenditrici di successo. Però certi errori del passato hanno avuto ripercussioni non piccole sul mercato in generale…

        Reply
  2. Utilissimo come sempre!
    Spinta da questo secondo articolo pratico sul tema, mi sono buttata a capofitto a fare un po’ di conti… accidenti ora mi tocca rileggere l’articolo sul mal di testa 😛
    Scherzi a parte, noto che per sopravvivere bisogna fatturare decisamente più di quanto pensassi e mi chiedo… come fare a sapere quanto è fattibile fatturare? Cioè, come si fa a fare una previsione realistica di quanti clienti si potranno avere?
    Un po’ sarà fortuna, un po’ la concorrenza, ma posto che si faccia adeguato marketing alla propria attività, c’è un modo per stimare quanti clienti è sensato aspettarsi?
    So che come sempre faccio troppe domande… ma magari poco a poco ci sarà occasione di parlarne 🙂
    Grazie mille intanto!

    Reply
    • Hehe, le tue domande sono sempre legittime, e comunque anticipano argomenti che C+B sicuramente tratterà in futuro. La verità è che come te le fai tu, ce le facciamo tutte, e qui in redazione stiamo studiando proprio per fornire risposte che siano utili a tutte quante… risposte ahimé che non sempre si trovano facilmente nei canali ufficiali o nelle guide online.

      Per abbozzare intanto una risposta generica, sappi che lo strumento per fare previsioni di vendite e utili è in primis il business plan, attraverso le analisi di mercato che lo sottendono.

      Per i dettagli continua a leggerci 🙂

      Reply
  3. Il prezzo … il mio cruccio di questi mesi …
    Nemmeno chi mi è vicino sembra capire, quando ho detto al mio compagno a quanto avrei venduto gli angeli di ceramica mi ha guardata come se fossi matta … la mia migliore amica ha sgranato gli occhioni … Eppure lo sanno quante ore di lavoro ci sono dietro!
    Però sono inutili, sono piccoli, dai cinesi costano cinque euro …
    In Italia il valore di un pezzo unico fatto interamente a mano è difficile da far capire, poi c’ è gente che pensa che le cose piccole debbano costare poco … certo, infatti ci vuole un minuto a fare tutte le dita di una piccolissima manina … che rabbia!
    Per non parlare del fatto che lavorare da casa sembra sinonimo di tempo libero … quindi, perchè farmi pagare?
    Iniziamo a cambiare la testa degli italiani …

    Reply
    • che tristezza elisa! mi dispiace davvero! ed è altrettanto triste la verità di cui si parla in questo articolo…….sto imparando il macramè,e mi son sentita dire che se mai qualcuno mi commissionasse un asciugamano con le frange da lavorare …di ricordarmi di non chiedere meno di 20 euro……mi son cadute le braccia !detto da una che sa bene i giorni che ci vogliono dietro….beh credo parlasse di beneficenza appunto !!o del prezzo riferito a ciascun motivo altrimenti!!

      Reply
      • C’è una bellissima striscia di Dilbert (che ho stampato e che cito continuamente) che recita: “il cliente ha sempre ragione, e va punito per la sua arroganza”.

        Certo, una mentalità diffusa del mercato ci costringe a riflettere sulle nostre strategie, ma un po’ di educazione (nel senso di ‘educare’, non di bon ton) crea un mercato migliore, secondo me 🙂

        Faccio però una riflessione: non è che, semplicemente, cerchiamo di vendere alle persone sbagliate? Pizzo, porcellane artigianali… mi sembrano prodotti che potrebbero piacere a una borghesia alta, con maggiore disponibilità d’acquisto. Ricordate sempre che definire il target dovrebbe essere uno dei primi passi, quando si decide di vendere qualcosa 🙂

        Reply
        • giustissimo!!! ma una borghesia alta non frequenta la mia casa nè eventuali banchetti ai mercatini di natale….bensì si rifugia nei negozi lussuosi e ovattati…..dove un braccialetto in cordoncino costa 117 euro…perchè l’importante è l’apparenza e si paga il marchio di tendenza….una cosa fatta a mano con i medesimi materiali non vale più di 2 euro per loro questo è.

          Reply
    • Elisa per fortuna non vendiamo a mariti e amici (anche se magari siamo tentate e iniziamo da lì)!
      Puntare sulla nicchia e su un target molto ben definito spaventa all’inizio, ma quando si prende coscienza del proprio lavoro, della propria capacità di produzione e si iniziano a raccogliere consensi nella fascia di pubblico giusta poi la strada è tra la pianura e la discesa 😉

      Reply
      • francesca io sono fortunata , babbo natale mi ha portato ben altro che un giusto canale di distribuzione , le mie passioni le posso coltivare come puro hobby ,come piacere,come regali , come forme di meditazione….ma se io mi fossi dovuta cercare un pubblico di nicchia o comunque cercare di trovare un qualsiasi tipo di clientela avrei trovato 1000 difficoltà,per quanto all’inizio tutto è difficile vedo persone che non sono all’inizio eppure hanno spesso quelle1000 difficoltà perchè ci si scontra con ciò che è ben descritto in questo post . mi sento semplicemente solidale con chi fa fatica a raccogliere quei consensi di cui tu parli seppur con la coscienza del proprio lavoro ecc ecc. 🙂

        Reply
  4. Sono passata per caso di qua e ho letto il tuo articolo: quante verità….da cinque anni mi sono avvicinata al mondo della tessitura in perline e chi conosce questa tecnica sa quanto lavoro c’è dietro la realizzazione di un oggetto e dopo anni di svendita dei miei lavori…ho deciso di rivalutare quello che faccio. Non è facile far capire alla gente il valore di un oggetto fatto a mano, soprattutto qui al sud, ma credetemi, preferisco non vendere che svendere!
    Grazie per il tuo contributo prezioso, non so se riuscirò a far crescere questa mia piccola attività, ma almeno ci avrò provato!

    Reply
    • Grazie a te per essere passata di qua! Io sono con te: se le condizioni diventano insostenibili la cosa giusta da fare è mollare. Basta con questa idea che la chiusura sia un insuccesso. Le attività aprono e chiudono, spesso proprio perché il mondo cambia. E non c’è nulla di male!

      Reply
  5. Intanto ti faccio i complimenti per il tuo sito. Scrivi in maniera molto chiara.
    Seconda cosa: hai ragione. Quando mia madre mi ha detto che mi facevo pagare troppo poco per il lavoro che facevo (lavoro editoriale, un tot a cartella) io le ho detto che o abbassavo i prezzi o la gente se ne andava dagli indiani che facevano la metà di me. E lei mi ha risposto che A) danneggiavo il mercato B) svilivo il mio lavoro. E niente, ha ragione lei e hai ragione tu. Bisogna far capire alla gente che chi lavora a basso costo non può metterci lo stesso materiale e la stessa cura che ci metti tu che sì, gli chiedi di più, ma lo spessore è un altro.

    Reply
    • Carlotta, grazie mille dei complimenti, ma il sito non è mio 😉 Siamo una community e io contribuisco solo una volta ogni 15 giorni. Continua a seguirci e sono sicura che troverai tanti consigli utili per imparare a fare apprezzare il tuo lavoro 🙂

      Reply
      • Thanks, colpa mia che ho dato solo un’occhiata superficiale. Mi iscrivo ai feed così non mi perdo i vostri post 😉

        Reply

Leave a Comment