Dalla radio al podcast… e ritorno

L’intimità dei mezzi vocali per comunicarsi al mondo: trucchi, suggerimenti e possibilità della totale assenza di immagini (Talk Freelancecamp Marina Romea giugno 2021)

Ah, la radio!

Chiedete a chiunque l’abbia mai provata, resta una passione che si insinua in un punto talmente profondo e intimo del cuore (o dell’anima), da diventare irrimediabilmente una parte di noi. Io non faccio eccezione.

Amavo la radio fin da ragazzina, forse addirittura fin da bambina. Quelle voci che arrivavano dalle casse diventavano voci amiche. Quella musica che mi accompagnava, le pubblicità che costruivano mondi incredibilmente realistici per essere fatti solo di suoni. Come moltissime altre persone ho imparato ad apprezzare la radio prima di tutto da ascoltatrice. Poi ho avuto la fortuna di trovarmi dall’altra parte del microfono e lì è scattato l’amore vero!

Io, il mio microfono, il controllo del suono in cuffia e dall’altra parte un mondo di persone, di sentimenti, di orecchie e mani e cuori che battono.

Ma perché la radio è così bella?

Dove nasce la magia

Una domanda molto simile potrebbe essere: perché solitamente è più bello leggere un libro che vedere un film? Perché la nostra mente lavora d’immaginazione per costruire un mondo raccontato su e tra le righe ed è esattamente la stessa cosa che succede quando il racconto, anziché dalle pagine, ci arriva attraverso le onde sonore, con la differenza che le pagine le possiamo vedere e toccare, mentre le onde sonore no e questo amplifica il senso di magia.

La magia è uno degli elementi che caratterizza la fruizione del mezzo radiofonico da sempre. Immaginate le prime radio, nei bar, nelle case dei pochi che se le potevano permettere, immaginate i bambini che per la prima volta nella loro vita sentivano voci e musica uscire da una scatola e non vedevano chi stava parlando, non vedevano chi stava suonando, per la prima volta c’era una rottura tra sensi che fino a quel momento erano sempre stati collegati. Sicuramente molti di loro avranno pensato che quella scatola fosse magica!

E oggi? Tutti quanti sappiamo che non si tratta di magia. Però qualcosa di magico secondo me resta sempre. Perché lo stupore di sentire senza vedere, accompagna la nostra parte più bambina in un mondo dove è più facile lasciarci andare.

Di magico, nella radio, c’è anche il rapporto che si crea tra chi parla e chi ascolta. È un rapporto uno-a-uno, intimo, molto personale, perché tradizionalmente la radio si ascolta quando siamo sole: nell’intimità della nostra cameretta o della nostra cucina, in macchina, in cuffia spostandoci a piedi o in bicicletta; certo, l’ascoltiamo anche in luoghi pubblici, ma in quel caso è un sottofondo musicale; l’ascolto attento di qualcosa che ci interessa resta privato, personale, dedicato.

E dall’altra parte? Chi ci è stata lo sa già e per chi non ci è mai stata (provate, mi ringrazierete!) vi posso assicurare che è assolutamente la stessa cosa.

Ripartiamo dall’immagine che vi ho presentato qualche riga sopra: io, il microfono, le cuffie per sentire quello che va in onda, compresa la mia voce, uno studio silenzioso, un mixer per controllare volumi e messa in onda e la consapevolezza che in quel momento io sono solamente il suono della mia voce.

Apro il microfono e dall’altra parte so che c’è chi mi ascolta e non si tratta di un pubblico plurale, ma di una moltitudine di singolari, che mi accolgono come un’amica, come una confidente, come una sorella, che si fanno accompagnare da quello che sto raccontando, che ridono, si commuovono e riflettono insieme a me e che mi sentono vicina. Anch’io li sento vicini, è come se fossero tutti quanti lì dentro con me, uno alla volta, ma contemporaneamente. Questa è la magia della radio.

Com’è cambiata

Nonostante spesso sia stata data per morta, la radio è probabilmente il mezzo che è riuscito ad adattarsi più velocemente ed efficacemente ai cambiamenti sociali e tecnologici, sfruttando le novità per ampliare o rafforzare la propria offerta. Dalle pagine social, alle dirette in streaming e su canali televisivi, dal digitale terrestre a quelli che possono essere considerati i primi podcast (programmi messi a disposizione sul sito della radio per essere scaricati ed ascoltati in qualsiasi momento).

Ma il mondo della radio è da sempre sottovalutato, quindi povero dal punto di vista degli investimenti e conseguentemente delle possibilità di creare contenuti di livello, soprattutto per le piccole emittenti locali. Per questo molto spesso i palinsesti sono stati (e sono tuttora) arricchiti da una serie di programmi registrati a costo zero; solitamente si tratta di programmi realizzati privatamente da appassionati di un particolare genere musicale o di un particolare settore, che vengono forniti gratuitamente a una serie di radio locali sparse in tutto il Paese a scopo promozionale. Nella maggior parte dei casi chi crea contenuti di questo genere ha un’alta professionalità, ma questo trend porta a privilegiare i programmi gratuiti invece di programmi fatti bene e, a lungo andare, può capitare che la professionalità diventi superflua e che l’offerta si impoverisca sempre più.

Se una volta dagli speaker radiofonici si pretendevano capacità di eloquio, dizione impeccabile ed elevate conoscenze musicali, oggi, anche a livello nazionale, si richiede soprattutto la capacità di attirare pubblico, magari grazie a una fama conquistata altrove. 

Per fortuna questa deriva non riguarda la totalità delle trasmissioni e gli appassionati possono continuare a trovare piccole e grandi oasi di godimento auditivo. 

E per chi non le trova più in radio ci sono i podcast.

Dalla radio al podcast

Dopo la rivoluzione social, il mondo intero si è trovato catapultato nella più grande piazza di paese mai esistita, in contatto e con la possibilità di conversare praticamente con chiunque sulla faccia della terra. Dopo qualche anno di entusiasmo, oggi stiamo assistendo a un’inversione di tendenza: le persone si sono stancate di tutta questa vita pubblica e stanno ricercando una dimensione più ristretta, conversazioni circoscritte, esperienze il più possibile personali attraverso, tra l’altro, gruppi tematici dentro e fuori dai social, messaggeria istantanea e naturalmente podcast.

Dalla radio i podcast ereditano la dimensione privata e personale dell’ascolto. Ci ritagliamo momenti dedicati per fruirli, instauriamo, con chi ci parla, rapporti molto intimi; la voce ci arriva spesso direttamente in cuffia, in modo non mediato ed emozionale. Di chi parla conosciamo il tono, i sospiri, i difetti di pronuncia, i picchi, le sfumature, come se fosse una persona cara, qualcuno che conosciamo da sempre, di cui ci fidiamo. Non succede sempre. Magari! Succede quando dall’altra parte del microfono c’è qualcuno che ha qualcosa da dire e ha l’intenzione di farla arrivare.

Il portato

Che cos’è il portato? Ne ho parlato in più di un’occasione. Riassumendo molto si può intendere l’intenzione di raggiungere il nostro pubblico attraverso la voce. Io l’ho imparato dal mio insegnante di canto Jazz, che ci spiegava quanto fosse importante che la nostra voce fosse esattamente là dov’era il nostro pubblico. 

Quando ho avuto la possibilità di fare radio il portato ha travalicato lo spazio per arrivare al di là del mezzo con cui il mio pubblico mi ascoltava, attraverso il microfono. 

Per i podcast (così come per qualsiasi programma radiofonico registrato), oltre allo spazio è necessario scavalcare anche il tempo e immaginarsi insieme al nostro pubblico (plurale singolare), nel momento in cui il nostro pubblico sceglie di stare con noi. Difficile? In realtà no, è marketing: basta conoscere bene il nostro pubblico.

Cosa ci aiuta

Saper parlare

Sembra scontato, ma in realtà non lo è. Articolare le parole, minimizzare gli accenti e le cadenze regionali, aprire la bocca con l’intenzione di fare uscire il suono per farlo arrivare a qualcun altro (portato) sono tra le cose che l’accesso indistinto del mezzo ha sacrificato di più dal punto di vista qualitativo. Non dico che per parlare in radio o per fare podcast sia necessario utilizzare la perfetta dizione, ma parlare un idioma comprensibile a tutti sicuramente aumenta la possibilità che più persone si sentano coinvolte da noi e dai nostri contenuti.

Avere un buon ritmo

Non significa parlare velocemente senza nemmeno prendere fiato, ma mantenere un buon equilibrio tra parole e pause e alternarsi senza sovrapposizioni o vuoti quando le speaker sono più di una. Soprattutto se non siamo allenate possiamo ricostruire il ritmo grazie a un buon montaggio.

Un buon montaggio

Oltre a permetterci di intervenire, come abbiamo visto, sul ritmo, ci dà la possibilità di aggiungere diversi elementi che caratterizzeranno il nostro lavoro: un sottofondo musicale, effetti particolari, elementi sonori che identificano le diverse parti del podcast, una sigla iniziale e una sigla finale, interventi estemporanei e tutto quello che ci può aiutare a migliorare l’esperienza d’ascolto.

Una buona idea

Ancora una volta torniamo alle strategie di marketing, ripeschiamo la nostra listen personas e individuiamo cosa potrebbe trovare interessante, che taglio potrebbe preferire, che stile le appartiene di più. Avere idee originali non è sempre facile, però possiamo puntare sulla nostra competenza.

La consapevolezza del mezzo

Non dobbiamo mai dimenticare che siamo solo la nostra voce, ma la voce trasmette molto più di quello che siamo abituate a pensare: si sente se abbiamo il broncio, se siamo sedute male, se ci muoviamo in modo incoerente. Avere una buona postura aiuterà il suono ad essere più chiaro, sorridere trasmetterà sentimenti positivi, muoverci in armonia con ciò che stiamo raccontando può dare forza alla nostra storia. 

Teniamo presente che le persone non stanno vedendo ciò che vediamo noi, quindi descriviamo e spieghiamo ogni oggetto, ogni evento, ogni ambiente con cui interagiamo mentre parliamo.

D’altro canto l’essere solo voce ci dà un’immensa libertà, perché possiamo costruire mondi immaginari abitati solo da noi e da chi ci ascolta, luoghi che possiamo costruire insieme unendo la nostra fantasia alla loro, come per magia.

L’interazione

Rispetto alle dirette radiofoniche, quello che manca al podcast è la contemporaneità tra emissione e ascolto, a cui segue la possibilità di interagire live. 

A domanda corrisponde offerta. Ed ecco arrivare Club House e le chat vocali su diversi canali, da Telegram a Facebook. La voce riscoperta e rivalutata (tranne forse per gli esecrati messaggi vocali) diventa protagonista di nuovi modi di concepire l’interazione, che toglie visibilità per aggiungere coinvolgimento.

Come alcune di voi già sapranno, io e Monja Da Riva ci siamo lanciate recentemente in un podcast che si chiama Amiche a Tradimento. Un esperimento partito con delle live su Club House, rimontato in podcast e proseguito cercando proprio quello che al podcast manca di più: l’interazione. 

Per mantenere costantemente aperto il dialogo, abbiamo scelto di comunicare con il nostro pubblico attraverso un gruppo tematico su Facebook e attraverso un canale Telegram, dove organizziamo le voice room dedicate alle puntate specifiche, aprendo la discussione a chiunque voglia partecipare.

Com’è andata? Per il momento vi posso dire che dal nostro punto di vista l’esperienza è più che soddisfacente e che a me sembra davvero di essere ritornata a fare radio. 

Per il futuro incrociamo le dita e si vedrà ; )

Deborah Ugolini

Le immagini, la voce e le parole hanno sempre guidato la mia passione. Ho cominciato come videoreporter e oggi mi occupo di videotelling, produzione branded podcast e formazione. Vivo con curiosità e sono fermamente convinta che nella vita non esistano esperienze o competenze inutili.

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