Come dichiarare gli incassi da retrocessioni su affiliazioni e compensi da networking?
Da un paio di anni a questa parte è una delle domande che ricevo più spesso. Anzi, è più corretto segnalare che dovrebbe essere la domanda che ricevo più spesso, ma troppe volte non mi viene posta.
Esiste un grande misunderstanding psicologico che, sia per quelle di noi che hanno partita iva che per quelle che non ce l’hanno, porta a ignorare, in buona fede o per svista deliberata, che questi incassi – che avvengano tramite buoni, bonifici da paesi esteri, sconti o accrediti PayPal – debbano essere dichiarati.
Riceviamo dei pagamenti, su alcuni è applicata una ritenuta: siamo a posto così, o no? Se hai un po’ di dimestichezza col fisco, dovresti già intuire che la risposta è no.
Capiamo quale è la natura dei guadagni da affiliazioni e da networking. I meccanismi sono simili, ma le tassazioni sono differenti. Posto che la normativa, come spesso accade, è poco sintonizzata sui meccanismi di mercato odierni, useremo le norme esistenti e un po’ di buon senso.
Proventi da affiliate marketing
Sono i proventi derivanti da due strumenti:
- dalla pubblicazione sul nostro sito di banner pubblicitari: per esempio, se abbiamo una libreria, sul nostro sito potremmo inserire annunci di libri acquistabili presso diversi editori se questi non fossero disponibili nel nostro e-commerce
- dalla creazione di link affiliati da inserire nel sito, nella pagina Facebook, in un post del nostro blog.
Cliccando il link, il nostro visitatore potrà essere reindirizzato ad acquistare un prodotto, e il fatto di aver utilizzato proprio il nostro link affiliato genererà delle retrocessioni a nostro favore, una sorta di commissione o provvigione.
Questo è il caso più silente per il fisco. Ai clienti che hanno questo genere di entrate, consiglio di fare molta attenzione: si tratta di proventi che potrebbero avere natura diversa da quella dell’attività principale.
Per chi non ha partita iva, potrebbe essere necessario aprirla (non ritengo, infatti, abbiano natura di proventi di lavoro autonomo ma di attività di impresa) e per chi la ha già, la situazione va comunque monitorata. Per esempio, un professionista iscritto alla gestione separata potrebbe essere costretto a iscriversi anche alla gestione commercianti dell’Inps, per dichiarare correttamente tali proventi.
Per cui, vi invito a non sottovalutare la natura di queste entrate facendo riferimento solo al fatto che siano quantitativamente residuali. Se ripetute, frequenti, magari (ma non necessariamente) consistenti, è fondamentale valutare con il vostro commercialista gli adempimenti necessari e, se possibile, verificare con gli uffici competenti (imposte e previdenza) come sia più corretto comportarsi.
Proventi da networking (o multilevel) marketing
Chi di noi non ha mai partecipato a incontri nei quali sono avvenute le dimostrazioni di un famoso robot da cucina, di contenitori ermetici per alimenti, di prodotti a base di erbe per il corpo? Questa è la forma più classica di network marketing. E in quanto classica e diffusa è stata disciplinata (evviva!) dal legislatore con la Legge 173 del 2005 “Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali”.
Cosa prevede la normativa? La legge disciplina questo tipo di vendite con la previsione di una sorta di regime agevolato (molto agevolato!).
Gli incassi più contenuti, fino a 5.000€ annui netti, sono assoggettati a una ritenuta del 23% sul 78% incassato: attenzione a non fare confusione con un’altra soglia dei 5.000€ e con un’altra ritenuta, quella del 20% sul 100% del lordo per gli autonomi occasionali. Fino a tale soglia, i venditori, anche se abituali, non sono tenuti ad aprire partita iva. Oltre tale soglia, invece, la partita iva va aperta ma con delle grandi semplificazioni.
Cosa hanno in comune i due meccanismi?
Oltre al fatto che, recentemente, nella pratica talvolta i due si mischiano e si accavallano, generando mix poco inquadrabili nella normativa in vigore, c’è il fatto che questi redditi non vanno né evitati per la paura di sbagliare, né mal dichiarati inserendoli “giusto per” nel quadro dei redditi diversi. È invece necessario capirli, dichiararli, valutare se richiedano ulteriormente altri adempimenti, per esempio presso il Registro Imprese o ai fini previdenziali.
La creazione di valore
Vorrei concludere con un piccolo invito su quello che ritengo essere il problema principale di questo argomento. La creazione di valore. Non valore monetario, ma valore concettuale.
Ovvero, se ho desiderio e/o necessità di arrotondare le mie entrate, è etico, ha senso, spingere qualsiasi affiliazione o qualsiasi promotore di network marketing, senza prima partire, alla base, da una scelta di valori? Voglio indifferentemente proporre prodotti di bellezza, beveroni alimentari, oggetti per la casa, partecipazione a eventi o scrizione a reti? O mi sentirò meglio (e sarò anche più motivata nella promozione) se selezionerò con cura quello che sto invitando ad acquistare?
La credibilità dell’intero settore delle affiliazioni e del network marketing risente di queste considerazioni. Tendiamo ormai a considerare “fuffa” certi prodotti e a guardare con diffidenza le vendite porta a porta. Ma se da oggi sceglieremo di proporre solo servizi e prodotti di valore, diventeremo parte di un meccanismo virtuoso che ci farà sentire meglio, migliorerà la credibilità di settore, e di conseguenza spingerà anche in alto le vendite.
Non trattiamo, quindi, questo settore come diverso o marginale solo perché, per il momento, le sue entrate sono relative. Offriamo competenza, credibilità, etica, così come faremmo con qualsiasi altro lavoro, e da qui credo che le entrate da marginali potrebbero diventare molto competitive.
La dimensione sociale di questi redditi
Ben vengano, anche, queste entrate se costituiscono un piccolo baluardo dell’indipendenza economica di donne, mamme e studentesse che, in alcune fasi della propria vita, conciliano le proprie esigenze con la flessibilità di queste modalità di lavoro.
Ma proprio per questo è necessario capire sia le potenzialità, sia i rischi di questi strumenti, per non ricadere in meccanismi vietati come le vendite piramidali trattate proprio nella già citata Legge 173/2005 o promuovendo prodotti e servizi che vivono delle nostre fragilità.