Ancora una volta la protagonista della nostra rubrica non è una freelance, ma il suo impegno per raggiungere la parità di trattamento tra donne e uomini, va sicuramente a vantaggio di tutti e di tutte.
Da circa vent’anni Patrizia Asproni si occupa di cultura e di industrie creative e culturali. Oggi è Presidente del Museo Marino Marini, della Fondazione Industria e Cultura, della Fondazione Torino Musei e di Confcultura.
Si definisce una strategica alla quale piace fare.

Essere femminista…
…significa essere consapevole del proprio valore, come donna e come persona, in maniera egualitaria rispetto agli uomini. Questo non vuol dire che debba esserci omologazione, ma parità.
Purtroppo, le donne hanno subito, nei secoli, una sorta di invisibilità che oggi, in un certo senso, è arrivata al parossismo. Ci rendiamo sempre più conto di come abbia inciso la damnatio memoriae di quello che le donne hanno fatto, il loro fondamentale contributo. È incredibile che oggi più che mai abbiamo la necessità di lottare per affermare la parità, ma è ancora più incredibile che si debba combattere per diritti che dovrebbero essere acquisiti. E invece abbiamo una regressione, che sta diventando un pericolo.
La battaglia da fare affonda le sue radici in quelle del femminismo degli anni ’60, ma oggi va affrontata in maniera completamente diversa. Per fortuna nelle donne c’è una consapevolezza tenace, che renderà sconfitta epocale il tentativo di un ritorno al passato.
Le manifestazioni di questi giorni in Polonia, mai così numerose, ci stanno dando la misura della rivoluzione antropologica.
Il femminismo oggi ha ancora senso…
…proprio in questa chiave di lettura.
#Boycottmanels…
…è una di quelle cose che sono nell’aria e ad un certo punto precipitano, uno di quei cambiamenti che è nell’aria e ad un certo punto diventa un fatto concreto.
Il fattore scatenante è stato dato da uno dei numerosi convegni che vedono sempre più una presenza solo di uomini. In particolare, si è trattato di un convegno sulla cultura, un settore in cui non si può certo dire che manchino donne competenti, esperte, preparate e di alta levatura. Il panel incriminato, esclusivamente maschile, ha fatto scattare la mia indignazione, portandomi a denunciare pubblicamente la discriminazione nei confronti delle donne.
Avevo letto recentemente un articolo sul Washington Post, in cui un gruppo di giornaliste lamentavano l’assenza delle donne nei convegni politici: parlavano di manels, “all man panels”, ovvero panel fatti da soli uomini; da qui è nato l’hashtag #Boycottmanels.
È stato come una fiammata: ha raccolto subito tantissime adesioni, di donne ma anche di molti uomini, che hanno commentato in maniera positiva, interagendo in maniera attiva e interessante. Ho pensato allora di creare un gruppo su Facebook allo scopo di rendere visibili e denunciare i panel, gli eventi e in generale tutte le occasioni in cui le donne non ci sono o sono rappresentate in maniera pinkwashing, cioè strumentale. Denunciare non significa solo renderlo noto attraverso la pagina, ma anche scrivere agli organizzatori di questi eventi per far presente la discriminazione e invitare, nel caso non si ponga rimedio, relatori, relatrici e pubblico a non partecipare.
Durante il lockdown la pagina è cresciuta moltissimo, anche sull’onda della protesta per l’esclusione delle donne dalle task force organizzate dal Governo per far fronte alla crisi.
A giugno il Ministro Provenzano ha raccolto il nostro appello, rifiutandosi di partecipare a una tavola rotonda organizzata dall’associazione Mecenate 90, dove non era presente nemmeno una donna: «non si tratta di uno squilibrio, ma di una rimozione di genere»; questo ci ha consentito di avere molta visibilità anche sulla stampa mainstream.
Tra fine agosto e inizio settembre è stato organizzato un Festival della bellezza a Verona, in cui le donne erano solamente due (contro 30 ospiti uomini) e in ruoli “secondari”. Anche qui abbiamo fatto sentire la nostra voce e la protesta è stata riportata su tutti i media. Michela Murgia, insieme ad altre grandi donne della letteratura e della cultura, ha organizzato un vero e proprio controfestival, sempre a Verona, che ha creato molto rumore amplificando l’ondata di sdegno che ha coinvolto esponenti del mondo culturale e non.
Queste sono alcune tra le tante iniziative che il gruppo propone per informare il più possibile sulla rimozione di genere. L’obiettivo è sempre quello di far crescere la consapevolezza: spesso le giustificazioni degli organizzatori dei panel senza donne sono disarmanti. Molti si rendono conto del problema solo quando lo facciamo presente. Una sorta di rimozione inconscia che ci fa capire quanto sia grave e profondamente inscritta nella nostra cultura la discriminazione. Occorre quindi operare insieme, donne e uomini, per arrivare a far sì che non ci sia più bisogno delle quote e che l’equilibrio di genere sia una cosa del tutto normale.
Le discriminazioni sul lavoro per via del genere…
…credo di averle subite anch’io, come tutte, soprattutto sotto forma di mansplaining o nella definizione geniale di Michela Murgia, minchiarimento. Ecco, il minchiarimento è una cosa con cui noi donne ci troviamo ad avere a che fare continuamente: troviamo sempre un uomo che ci deve spiegare meglio argomenti in cui noi siamo, in realtà, più esperte e competenti. Anche questa è discriminazione, è inconscia, più subdola e quindi più grave. Infatti, dalla discriminazione palese ci si può difendere molto più agevolmente, mentre da questo tipo di discriminazione è più difficile, perché spesso siamo noi le prime a non percepirla come tale.
Nella vita privata…
…non ho mai subito discriminazioni per via del genere, non lo avrei mai permesso.
La mia famiglia d’origine…
…naturalmente era di un’altra generazione, quindi i compiti erano divisi in modo tradizionale: mia madre si occupava dei figli e del bilancio familiare, mio padre del lavoro fuori casa, con molta parità nei diritti e nei doveri. In Sardegna, la mia terra d’origine, è molto radicato il matriarcato, quindi gli esempi delle donne della mia infanzia sono sempre stati di grande forza, autonomia e autodeterminazione.
Sul lavoro…
…mi è capitato più volte di essere l’unica donna e, quando ero più giovane, questo è stato spesso motivo di orgoglio, ma credo che anche questo sia un’altra subdola trappola, in fondo. Con il tempo ho capito che era una concessione di matrice patriarcale, che alla fine rendeva comunque ad ostacoli la possibilità di emergere e rompere il soffitto di cristallo.
Rispetto alle generazioni precedenti le donne oggi sono più presenti…
…nella magistratura, in medicina, nel mondo della scienza e della tecnologia, segno di un cambiamento antropologico.
Ci sono poi mestieri in cui le donne, ad un certo punto, sono state sostituite: prima c’erano le cuoche, ora ci sono gli chef, prima c’erano le sartine oggi gli stylist; ci sono ambiti in cui gli uomini hanno preso in mano mestieri che erano tipicamente femminili, in una sorta di upgrade e questa è una cosa molto interessante, che non è da vedere necessariamente in maniera negativa, anzi, secondo me è qualcosa che dobbiamo comprendere e di cui potremmo appropriarci, magari creando spazi e percorsi da fare insieme.
Le donne oggi dovrebbero essere più presenti…
…ai vertici a partire dalla rappresentanza politica; come #Boycottmanels abbiamo lanciato la campagna per una donna alla Presidenza della Repubblica italiana nel 2022.
Le donne non sono adeguatamente rappresentate in Parlamento, ma nemmeno all’interno delle aziende partecipate dallo Stato, nella maggioranza delle quali non ci sono donne o magari alla donna viene assegnata la presidenza, ma non ci sono donne tra gli amministratori delegati: ancora una volta mero pinkwashing.
Dobbiamo appoggiare e sostenere le donne affinché arrivino ai vertici, lo dobbiamo fare partendo dalla base.
Sono femminista grazie a…
…me stessa e alla mia origine sarda. Come dicevo prima, le donne che ho avuto come esempio erano forti e consapevoli del proprio valore.
Un modello di riferimento per le nuove generazioni di donne…
…sicuramente è Greta Thunberg, a mio avviso il vero grande esempio di questo momento, ma anche Jacinda Ardern, la Presidente della Nuova Zelanda, appena rieletta con una maggioranza schiacciante, una grande donna che usa un modello femminile di governo del Paese: un modello operativo, una politica inclusiva, coinvolgente, ma anche empatica.
Le donne oggi rischiano…
…di essere riportate indietro, perché c’è una paura diffusa del potere femminile. Quindi antropologicamente, come è sempre successo nei secoli, si scatenano forze respingenti da parte degli uomini, subentra in loro la paura di perdere potere, di perdere quei punti di riferimento in cui sono stati allevati e che purtroppo li penalizzano.
Quel modello maschile, dell’uomo che “non deve chiedere mai” (cit.) oggi non ha più ragione d’esistere. Ma siamo a metà tra il “non più” e il “non ancora”, in una sorta di zona grigia in cui però le donne potrebbero (e dovrebbero) essere il link che collega le due fasi, traghettando il mondo verso il futuro.
Per cambiare le cose è necessario…
…che le donne accrescano la propria consapevolezza: bisogna cominciare fin da piccoli e da piccole, ripartire dall’educazione, dalla formazione, dal cambiamento dei paradigmi sui libri di scuola; bisogna intervenire innanzitutto sui bambini e sui giovani e di conseguenza agire anche sulle famiglie e sugli adulti.
Da questo punto di vista secondo me la crisi scatenata dal Covid potrebbe paradossalmente essere utile, rimettendo in discussione e dando nuovo ordine a nuovi valori.
Quello che ognuna di noi può fare è…
…prima di tutto sostenere le altre donne: io nel mio lavoro cerco di circondarmi di donne e di ragazze, le incoraggio, le supporto, l’ho sempre fatto; la trasmissione del sapere e del know how sono molto importanti. Poi bisogna portare avanti diverse battaglie: quelle di #Boycottmanels, ma anche le piccole battaglie quotidiane, facendo notare quello che non va, quello che va cambiato, cambiandolo e soprattutto parlando: zitte mai, inattive mai.