In un mondo che continua banalmente a spostare l’attenzione e la colpa sulle vittime, diventa sempre più necessario rialzare la testa e parlare di femminismo. Su C+B lo ha già fatto magistralmente Simona Sciancalepore, con le sue interviste per L’angolo del freelance femminista.
Per me è un vero onore raccogliere il testimone e ricominciare a dare voce al femminismo, perché credo che oggi più che mai sia necessario farlo.
Cominciamo col botto e incontriamo Alessandra Farabegoli: imprenditrice, consulente, punto di riferimento per il marketing digitale e la formazione, con un’esperienza decennale e, tra le tante cose, creatrice, insieme a Gianluca Diegoli e Miriam Bertoli, del Freelancecamp.

Essere femminista significa…
…che le nostre scelte e il nostro percorso non devono in alcun modo essere determinate da ruoli predefiniti o da aspettative basate sull’appartenenza di genere.
Questo determinismo è una cosa che non ho mai sopportato, probabilmente perché non mi è stato trasmesso in famiglia. I miei genitori hanno sempre dato per scontato che avrei studiato, avrei lavorato e sarei stata indipendente. Mio padre portava in giro me e mia sorella in tempi in cui non era affatto comune, per un uomo, occuparsi dei bambini, né tanto meno delle bambine, insomma, il fatto di essere femmina non l’ho mai vissuto come una limitazione.
Per questo, quando mi trovo di fronte a persone che ragionano in termini di “roba da maschi/roba da femmine”, reagisco anche con durezza. Voglio che arriviamo a far sì che ciascuno sia libero di fare le sue scelte senza essere condizionato o limitato dal fatto di essere nato uomo, donna, etero, gay, qualunque cosa.
Il femminismo oggi ha ancora senso…
…perché anche se le cose sono cambiate molto, rispetto ai tempi dei nostri nonni, nel 2020 ci sono ancora tanti stereotipi. Pochi giorni fa, per dire, mi sono imbattuta in un post che mi ha fatto venire davvero il latte alle ginocchia: una giovane blogger piuttosto seguita affermava più o meno “quel che una donna si aspetta dal suo uomo è che dica al mondo che lei gli appartiene”. Ma per favore! Sono stupidaggini anacronistiche, contro le quali dobbiamo tutte combattere, a partire dal linguaggio che usiamo.
Negli ultimi anni il linguaggio pubblico è peggiorato…
…più che altro negli ultimi anni sono stati sdoganati i cattivi sentimenti e non solamente verso le donne: è un problema che riguarda la gestione delle differenze, l’intolleranza, il razzismo.
Una cosa sono le reazioni istintive, per certi versi anche naturali, come la paura del diverso, la diffidenza per chi non conosciamo, anche la difesa di uno status quo che ci garantisce privilegi piccoli o grandi, altra cosa è come gestiamo questi sentimenti e come, in concreto, ci comportiamo.
Secoli, millenni di storia ci insegnano che ciascuno è il barbaro di qualcun altro, che rinchiuderci negli stereotipi è profondamente stupido, che possiamo controllare i nostri istinti peggiori e fare evolvere la società in direzione di una maggiore tolleranza e apertura.
Purtroppo, negli ultimi anni si è assistito ad uno sdoganamento delle cose peggiori e c’è tanto da fare per riportare il discorso collettivo a un maggiore rispetto, a una maggiore tolleranza: è molto importante per le donne, che si trovano tuttora in una condizione di debolezza e minore tutela, ma è una cosa che fa bene a tutti, anche agli uomini.
Le discriminazioni sul lavoro per via del genere…
…io non mi sono mai sentita davvero limitata per il fatto di essere donna, o perlomeno quando qualcuno ha provato a farmelo pesare si è dovuto ritirare in fretta; però le ho viste intorno a me e le ho vissute: le riunioni in cui gli uomini vengono chiamati per cognome e le donne per nome, i servizi e gli orari pensati a misura di maschi, l’essere spesso l’unica donna a un tavolo o l’unica donna che prende la parola.
Sono consapevole che se io ce l’ho fatta è più perché sono una grandissima rompicoglioni che non perché abbiamo raggiunto davvero le pari opportunità.
Non dovrebbe essere necessario essere toste e rompicoglioni per vedersi riconosciuti meriti e ruoli e se io, in qualche modo, ce l’ho fatta, questo non significa che la discriminazione non esista: esiste eccome e io penso che il mio compito sia contribuire a far sì che ce la facciano in molte, anche quelle meno cattive di me.
Le piccole cose purtroppo passano spesso inosservate…
…è proprio per questo che le dobbiamo sottolineare. Quando parliamo e scriviamo, ad esempio, smettiamo di declinare tutto al maschile. Io sono stanca di ricevere e-mail che iniziano con “caro cliente” da aziende a cui do i miei soldi e le mie informazioni personali; può sembrare un dettaglio poco importante, ma significa non prendere atto di chi sono io, non rispettarmi. Quando lo spiego durante i miei corsi, magari trovo persone che non ci avevano mai pensato prima, ma quando se ne rendono conto capiscono che è importante.
Su questo argomento c’è un post recente e molto bello di Luisa Carrada, dove lei stessa scrive che, rileggendo l’articolo prima di pubblicarlo, si è accorta di avere usato per ben due volte il maschile generico senza rendersene conto; è così, c’è bisogno di fare attenzione e abituarci un po’ alla volta a parlare e scrivere in modo più inclusivo e questo diventa via via sempre più naturale. Qualche anno fa dire “sindaca” anche a me suonava male, ma adesso che lo usiamo tanto lo sento del tutto naturale, anzi, mi arrabbierei se parlando di una sindaca la si chiamasse “sindaco”.
La lingua è viva e cambia insieme alla società in un’evoluzione continua e anche noi come specie cambiamo, ce lo dimostra la biologia evoluzionistica [Alessandra è laureata in biologia]: la specie umana ha vissuto un lungo processo di auto-addomesticazione e una delle conseguenze è stata la diminuzione del dimorfismo sessuale, cioè delle differenze fra gli individui di sesso maschile e femminile.
Non solo i nostri ruoli, ma anche come siamo fatti, non è qualcosa di fisso e immutabile nel tempo, ma è il prodotto di un processo che possiamo gestire e indirizzare dove vogliamo; questo non significa che avremo degli uomini “meno uomini”, avremo degli uomini interessanti e delle donne altrettanto interessanti, probabilmente di più.
Rispetto alle nostre famiglie d’origine i tempi sono cambiati…
…sì, per fortuna. Io e mio marito abbiamo un figlio, occuparci di lui e della casa è sempre stato un compito di entrambi e sono io quella che viaggia di più per lavoro, mentre mio marito, che è un freelance, lavora quasi sempre da casa; se ci penso, non ricordo che mi sia mai successo di aver dormito a casa da sola con mio figlio mentre mio marito era via per lavoro, mentre capita molte volte il contrario.
Sono consapevole che questa non sia ancora una situazione comune in molte famiglie, ma penso che dobbiamo definire nuove idee di normalità. Per me è estremamente importante che mio figlio cresca senza pensare per stereotipi, senza pensare che ci sono cose da donne e cose da uomini, che ci sono lavori che le donne non possono fare o lavori che gli uomini non possono fare; finora credo di esserci riuscita.
Certo, non mancano i commenti del tipo “povero bambino, ti mancherà la mamma”, che ovviamente non ci sarebbero se a stare fuori fosse il babbo; e bisogna ribadire, con calma ma con fermezza, che non c’è niente di strano, fake it till you make it. In certi momenti è faticoso, ma più siamo ad affermare queste cose, più diventerà semplice per tutti.
Le donne in quanto madri sono sottoposte a giudizi sempre molto pesanti…
…sì, certo e c’è anche un pregiudizio fortissimo verso le donne che non hanno figli, come se fossero incomplete, altra cosa che trovo delirante.
Dalle madri invece ci si aspetta che si dedichino ai figli in maniera incondizionata, azzerando completamente le proprie prospettive e questa cosa purtroppo viene sostenuta e ribadita anche da molte donne.
Io tutte le volte che sento usare “mamma” al posto di “genitore” mi arrabbio e lo dico ad alta voce; certe cose sono di competenza dei genitori, perché i figli si sono fatti in due. Anche qui è tanto faticoso mantenere la serenità apollinea e ribadire l’ovvio, però bisogna farlo.
Le donne oggi dovrebbero essere più presenti…
…ai vertici. In tantissimi settori, nonostante una presenza femminile molto più alta che in passato, non vengono riconosciuti alle donne ruoli apicali. In medicina, ad esempio, ci sono tantissime mediche, pochissime sono ai vertici degli organismi di rappresentanza, molte meno sono primarie.
Vorrei più donne anche in politica, nelle amministrazioni, nei luoghi dove si decide, perché board più variegati e ricchi, anche per provenienze culturali, portano le aziende e le comunità a tenere conto delle esigenze di tutti, sono una grande ricchezza.
Alessandra è femminista grazie a…
…Dalla parte delle bambine di Elena Giannini Belotti, che ho letto quando avevo circa 14 anni; poi sono seguite tante autrici grandissime.
Ricordo con particolare orgoglio il mio tema di maturità: la traccia di letteratura chiedeva di illustrare “quali opere della letteratura moderna e contemporanea esprimano più efficacemente il tema dell’orrore e della disumanità della guerra”; io sono sicura che chi aveva preparato le tracce avesse in mente Quasimodo, Ungaretti, Primo Levi; io invece costruii tutto il mio tema su Le tre Ghinee di Virginia Woolf e Cassandra di Christa Wolf, cioè sul punto di vista femminile rispetto alle guerre decise e scatenate dagli uomini.
Oltre ai libri ho incontrato anche alcune professoresse molto importanti, dei fari di cultura e di umanità; davvero non mi sono mai mancate delle figure femminili “di riferimento” e sono sempre stata convinta che sarei potuta diventare anch’io una donna importante, una che avrebbe realizzato qualcosa. Per questo sono sempre stata una che non aveva paura di fare “un passo avanti” e devo dire che più passi avanti facevo, più mi convincevo che fosse possibile, più mi sentivo empowered.
Le donne di oggi dovrebbero prendere ispirazione…
…da donne in gamba. Ce ne sono tantissime, ciascuna a suo modo. Io appartengo alla tribù delle secchione, i miei modelli sono donne come Hillary Clinton, una preparatissima, che ha sempre dovuto lavorare tanto per farsi accettare, perché spesso quando una è brava, poi deve fare anche un sovrappiù di lavoro per apparire umana ed empatica: se un uomo batte i pugni sul tavolo si ammira la sua grinta, mentre se lo fa una donna è una stronza. Io infatti sono secchiona e anche stronza, o perlomeno sono sicura che c’è chi lo pensa di me, ma ci ho messo una pietra sopra.
Un’altra grande donna che stimo molto è Elizabeth Warren, di cui si dice che per ogni cosa “she has a plan“. Sono donne che lavorano tantissimo, sono brave, competenti e io vorrei essere come loro.
Poi apprezzo anche quelle più fresche, più giovani, le creative come Francesca Cavallo ed Elena Favilli che hanno scritto quel libro delizioso, Storie della buona notte per bambine ribelli, però io, non ci posso far niente, sono della tribù delle secchione.
In ogni caso le donne fanno sempre più fatica…
…come chiunque si trovi in una posizione di svantaggio; pensiamo alla differenza tra chi è nato in Occidente e chi in un Paese in via di sviluppo: loro devono fare dieci volte la nostra fatica.
Noi, certo, dobbiamo fare più fatica dei nostri coetanei uomini e quindi facciamola, finché non avremo azzerato questo differenziale.
Certe cose ci sembrano innocue o stupide perché siamo così abituati che non ne leggiamo la violenza. Ci sono cose che ad alcune donne sembrano romantiche, mentre per me sono l’anticamera dello stalking o del femminicidio.
Le donne oggi rischiano perché…
…nessuna conquista dev’essere data per scontata. Penso all’aborto: con l’80% di medici obiettori il diritto all’aborto non c’è davvero, spesso è anche difficile avere accesso alla contraccezione. Alcuni diritti sono solo sulla carta e, come se non bastasse, c’è chi tenta di toglierceli di nuovo. Ad esempio, a Forlì, con l’insediamento della nuova amministrazione comunale, sono stati bloccati dei finanziamenti già erogati a progetti di educazione alla gender diversity: questi sono passi indietro oggettivi.
Quando si fanno scelte che privilegiano un certo tipo di investimento piuttosto che altri, quando si sceglie di non investire nei servizi all’infanzia, alla famiglia o alla cura, perché tanto ci penseranno le donne, siamo di fronte ad un arretramento generale, per non parlare di vere e proprie perdite di diritti più importanti, come è successo in alcuni stati degli USA, dove è stato di nuovo vietato l’aborto.
Quindi io non mi rilasserei affatto su nulla: per non rischiare di fare troppi passi indietro bisogna continuare a fare dei passi avanti.
Per cambiare le cose è necessario…
…non stare mai zitte, cercando ogni volta il modo più efficace per parlare, consapevoli che l’inclusione e il rispetto sono, alla fine, un vantaggio per tutti, sia per le donne che per gli uomini.
Più riusciamo a capire che ciascuno di noi ha un proprio valore intrinseco, più riusciremo a smontare le gabbie dell’essere maschio, femmina, del nord, del sud, italiano, africano, qualunque etichetta ci venga in mente.
Poi, sia chiaro, io non penso che il cammino verso una società più inclusiva e più accogliente per tutti sia tutto rose e fiori; come spiega bene Naomi Wolf nel suo libro Fire with fire, ogni volta che una donna si prende un posto che le spetta, ci sarà un uomo che resterà a casa e non sarà contento di cedere quel pezzo di potere; lo dobbiamo sapere e ciononostante dobbiamo andare a prenderci ciò che ci è dovuto.
Quello che ognuna di noi può fare è…
…cercare di vedere le situazioni di discriminazione e chiamarle ad alta voce; è importante e aiuta tutti, perché spesso non siamo consapevoli della discriminazione, sia quando la agiamo, sia quando ne siamo vittime; ma, quando viene espressa ad alta voce, abbiamo la possibilità di rendercene conto e di cominciare a cambiare le cose.
Quindi il mio consiglio è: stiamo attente, alziamo la voce e mostriamo nei fatti che le cose possono essere diverse.