Come parlare al tuo pubblico di quello che fai

Quando uno lavora nel digitale e fa comunicazione capita di avere a che fare con due tipi di persone. Quelli che hanno capito che tu “lavori col computer” e ti chiedono di aggiustarglielo. Quelli che hanno capito che ti occupi di comunicazione e ti chiedono di fargli i biglietti da visita.
Poi, naturalmente, ci sono quelli che hanno capito e ti chiedono di aiutarli a farsi conoscere. E qui, per fortuna, ci si può ragionare.

La prima cosa che chiedo, in questi casi, è se l’attività è già chiara, se esistono già degli obiettivi, se si sa già a chi parlare e così via. Il fatto è che, anche se sembra scontato, spesso non lo è. Perciò si inizia da zero. Io seguo una specie di scaletta, modificabile a piacere a seconda delle esigenze puntuali. Ma la cosa più importante è partire dall’inizio. Creare un profilo Instagram, per dire, non è l’inizio.

Prendete carta e penna, perché tutto quello che diremo d’ora in avanti dovrete scriverlo, così quando avete dei dubbi potete andare a rimettere ordine nelle idee che sicuramente avrete strada facendo e che rischiano di creare confusione se non sono guidate verso una meta precisa.

La scaletta

1. Avere chiaro che cosa vogliamo comunicare.

Un’attività, un prodotto, un servizio, una persona: è importante che, qualunque cosa sia, da questo momento in poi deve essere trattata come un brand. Senza banalizzare troppo, è una cosa da vendere (anche laddove potesse non prevedere un ritorno in denaro) e da tale va trattata.
Di come creare un brand abbiamo già parlato. Dobbiamo avere chiaro quali sono i valori, le motivazioni, il cosa e il come della nostra idea. Supponiamo che abbiamo deciso di far conoscere un’attività di abbigliamento artigianale: spieghiamo bene perché abbiamo deciso di metterci a cucire invece, per esempio, di aprire un negozio e basta; dove troviamo i tessuti e che cosa hanno di diverso e particolare rispetto a tutti gli altri (senza barare, però: perché siano effettivamente una scelta di valore questo valore deve emergere. Per esempio, potrebbero essere tessuti bio, e in questo modo avremmo già un bel vantaggio in termini di competitor); che cosa c’è di particolare nel disegno dei nostri abiti. E così via.

Sempre in questa fase, dobbiamo sapere a chi vogliamo venderli. È chiaro che, in un mercato dove possiamo trovare praticamente qualunque abito in pochi clic e a un prezzo ragionevole, più la nostra idea è “tailor made” (è proprio il caso di dirlo), meglio è.

Tutte queste cose scriviamole, così diventano per magia più chiare anche a noi.

2. Conoscere i nostri competitor.

Prendetela un po’ ampia, questa parte. I competitor sono quelli che fanno esattamente quello che facciamo noi, ma anche tutti i prodotti/servizi alternativi, sostitutivi, integrativi. Competitor sono anche quelli che comunicano già nel modo che più o meno noi abbiamo in mente, anche se non l’abbiamo formalizzato. Serve per prendere ispirazione ma anche per non sovrapporsi. Conoscere i competitor significa avere la chiave per differenziarsi, ma ricordiamoci che qui parliamo di comunicazione, non di prodotto. Poi, se salta fuori anche qualche idea migliorativa della nostra attività, tanto meglio.

Scrivetevi tutto, perché i competitor cambiano nel tempo e voi non dovete perderli di vista.

3. Sapere quali sono i nostri obiettivi di comunicazione.

Vendere? Se si tratta di un e-commerce sì, ma per esempio potremmo pensare di voler far conoscere e basta le nostre creazioni, che poi venderemo nel negozio sotto casa. In questo caso il nostro obiettivo è diverso. La domanda alla quale dobbiamo rispondere qui è: “che cosa mi aspetto di ottenere da questa attività? In che modo mi può aiutare la comunicazione? Che cosa mi aspetto di ottenere, quindi, dalla comunicazione di questa attività?”

Sugli obiettivi vale la pena di spendere qualche parola. Distinguiamoli, innanzitutto, nelle tre categorie: business, marketing, comunicazione.

Gli obiettivi di business sono quelli che riguardano la nostra attività dal punto di vista economico: quanto e in che tempi vogliamo crescere, in quali mercati, per realizzare cosa.

Gli obiettivi di marketing sono quelli che si riferiscono in modo particolare a come abbiamo intenzione di vendere: quali prodotti, distribuiti in che modo e dove, a chi, facendoli conoscere in quale maniera.

Infine, gli obiettivi di comunicazione sono quelli che attengono esclusivamente a ciò che la comunicazione, appunto, può fare: servirà a far conoscere il prodotto? A creare una community di appassionati? A trasformare gli appassionati/i curiosi/gli amici in clienti? A rendere il nostro brand appetibile per dei finanziatori? E così via.

Naturalmente i tre tipi di obiettivi sono strettamente collegati. Gli obiettivi di marketing dipendono da quelli di business, mentre gli obiettivi di comunicazione sono funzionali sia a quelli di business che a quelli di marketing. Tenerli ben distinti è però un punto cruciale, perché ci consente di utilizzare, per ciascuno di essi, l’approccio che gli è proprio, andando dritto al punto e senza disperdersi.

A noi, qui, interessano gli obiettivi di comunicazione, quindi cerchiamo di essere il più chiari e utili possibile nella formulazione. Usiamo il classico modello SMART: Specific (Specifici, altrimenti non sappiamo da dove cominciare), Measurable (Misurabili, per sapere quanto ci stiamo avvicinando), Achievable (Realizzabili, perché sognare in grande va bene, ma se è troppo la frustrazione è dietro l’angolo), Relevant (Rilevanti, perché devono essere funzionali agli obiettivi di marketing e di business), Time-based (Temporizzabili, cioè con una scadenza definita, se no ci perdiamo).

Mettete per iscritto i vostri obiettivi (anche non solo quelli di comunicazione, eh). Stampateli, ricamateli a punto croce, scolpiteli, intagliateli, perché sono la vostra guida da ora in avanti.

4. Conoscere il nostro pubblico.

Non significa necessariamente “a chi vogliamo vendere”. Attenzione a questa distinzione. Per esempio, se dobbiamo vendere viaggi studio all’estero per bambini, dobbiamo parlare con i genitori.

Di loro, cioè delle persone alle quali vogliamo parlare, dobbiamo sapere tutto – insomma, più sappiamo, meglio è – chi sono, che abitudini (pertinenti con il nostro prodotto/servizio) hanno, dove le troviamo (nei social, in rete in generale), qual è il loro bisogno specifico al quale noi possiamo dare una risposta con quello che stiamo dicendo loro. Se vi viene in mente altro, tanto meglio.

Prendete nota. Nel tempo le abitudini cambiano, meglio tenerne traccia.

5. Individuare i contenuti.

La tentazione è, ovviamente, quella di parlare di noi, della nostra attività, di quanto siamo bravi e così via, giusto? Sbagliato. A voi interessano i contenuti che parlano esclusivamente di queste cose, se vi trovate dalla parte del pubblico? Ecco.

Allora bisogna cambiare strategia. Ricordiamoci che le persone ci ascolteranno se rispondiamo a un loro bisogno. Quindi andiamo a studiarci molto attentamente il capitolo sopra e facciamo in modo di dare risposte che facciano la differenza tra noi e gli altri, quelli che parlano di “leader di settore”. Valutiamo se il nostro pubblico ha bisogno di informazione, di educazione, di intrattenimento, e definiamo in che misura gli daremo un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.

Scegliamo il nostro tono di voce: sarà amichevole? Istituzionale? Distaccato? Dissacrante? Fate un po’ di esempi di come volete che sia la vostra comunicazione, in modo da poterla poi declinare su tutti i contenuti che erogherete.

Qui va da sé: questa roba si scrive.

6. Scegliere gli strumenti.

Finalmente. Dall’analisi del nostro pubblico devono essere emerse anche le abitudini di uso dei diversi strumenti. Se sta su Instagram, ok, se no facciamocene una ragione e mettiamoci altrove anche noi.

Perché funzioni, una selezione degli strumenti deve comportarsi come un ecosistema: interagire costituendo un sistema in equilibrio, un complesso organico e funzionale che fa vivere il brand e lo fa percepire come un tutt’uno nella testa delle persone a cui parliamo. Perciò è bene attribuire a ciascuno strumento una funzione, un ruolo. Per esempio, il sito sarà “la casa” del brand, nella quale si potranno trovare tutte le informazioni che lo riguardano e le modalità per entrare in contatto con esso; se al sito associamo un blog, questo sarà funzionale a dare al brand un aspetto dinamico e aperto al mondo, oltre ad aiutarlo nella SEO. Facebook potrebbe essere il luogo della conversazione, dove incontriamo e possiamo dialogare con le persone (ma qui si dovrebbe aprire una lunga parentesi su quanto veramente Facebook possa svolgere ancora questa funzione. Lo faremo un’altra volta). Instagram sta prendendo sempre più questo ruolo, in effetti, per cui, se il nostro prodotto è instagrammabile, capiamo bene che cosa far fare a questo strumento e come dosare i contenuti tra feed e stories. E così via. Più è chiaro il ruolo, meglio funzionerà. Decidiamo anche, naturalmente, che tipo di contenuti andranno nei diversi strumenti e con quale frequenza.

7. Tracciare il piano d’azione.

Ci siamo. Abbiamo deciso tutto, praticamente adesso è un progetto completo, una vera strategia di comunicazione. Ci manca di decidere cosa fare, in che tempi, con quali risorse. Attenzione a calcolare molto bene questi tre elementi: competenze, tempo e soldi devono essere in equilibrio. Se abbiamo bisogno di affidarci a qualcuno per fare qualcosa, per esempio il sito, avremo bisogno di più soldi, ma ci si libererà del tempo. Se decidiamo di fare tutto da sole, dovremo probabilmente affinare le nostre competenze e dedicare più tempo, ma questo ci consentirà di spendere meno soldi.

Una volta decise queste cose, mettiamole in un bel piano di progetto (che può essere anche un foglio excel o il calendario di Google o la nostra agenda di carta, l’importante è che sia chiaro), stampiamolo e attacchiamocelo al muro.

8. Realizzarlo!

Sappiamo quali contenuti, sappiamo quali strumenti, possiamo partire. L’avventura è iniziata, in bocca al lupo.

Giuliana Laurita

Strategist e formatrice, accompagno aziende e persone nel percorso per comunicare bene, soprattutto in rete. Lo faccio attraverso la formazione e la consulenza sui temi della comunicazione, del digitale, dei social media. A volte vado a parlarne nelle scuole con ragazzi, prof e genitori, ce n’è tanto bisogno. Leggo molto, scrivo parecchio e credo che la confort zone non esista. Per nessuno.

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