L’angolo del freelance femminista. Intervista a Tamara Viola

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Mi chiamo Tamara Viola e faccio la digital strategist: in pratica aiuto piccole e sfavillanti aziende a definire e lanciare online il loro messaggio di bellezza e benessere, ma ancora non sono riuscita a spiegarlo a mia madre. Amo l’internet perché mi ha portato tutte le cose belle della mia vita: l’amore, il lavoro e gli amici più cari. Sono una beauty addict e la maggiore azionista della Dior cosmetics.
Leggo, scrivo e parlo un sacco, rido molto e non esco mai senza rossetto.

Cosa significa per te femminismo? Quanto pensi c’entri il sesso, i peli, i lavori domestici, i commenti sul fisico?

Per me femminismo significa coraggio: coraggio di essere se stessi (parte suono di violino). Lo so, sembra una frase fatta ma è la verità. Se non ho il coraggio di accettarmi come sono, con le mie potenzialità, i miei pregi, i miei limiti, il mio sentire come posso essere femminista? Come posso accettare di convivere con qualcuno che vede le cose diversamente da me e rispettarlo comunque? C’entra il sesso, sì, avere la vagina mi rende diversa: non meno abile, meno pronta, meno preparata, solo diversa. C’entrano i peli: io per esempio non voglio vederli nemmeno disegnati, altre si trovano perfettamente a loro agio: non sono migliore, sono diversa. C’entrano i lavori domestici: stirare mi rilassa ad esempio, dovrei smettere di farlo? Forse penso che mi rilassi per colpa del patriarcato? Non lo so, fino a quando mi darà piacere continuerò a farlo. C’entrano i commenti sul fisico, sì, e tanto. È la mia lotta quotidiana, per le donne e per gli uomini, ma nella mia esperienza, a parte rare eccezioni, mi sono ritrovata spesso a discuterne con le ragazze, sempre molto critiche verso se stesse e le altre, in nome di un ideale di bellezza inesistente.

Ti è mai capitato di essere discriminata sul lavoro o a scuola per via del genere?

Sì, mi è capitato di essere discriminata sul lavoro per il mio aspetto fisico. Ho avuto mille occupazioni diverse, tra queste anche la commessa: più volte, nonostante avessi tutti i requisiti necessari, sono stata scartata per il mio peso. A scartarmi sono state altre donne. Senza mezzi termini hanno precisato che sì, ero proprio preparata ma che ahimé, esteticamente non ero “gradevole”.

Nel tuo quotidiano paghi uno scotto personale per via del genere?

Nel mio quotidiano spesso mi incazzo quando ci si aspetta che io sia in un certo modo. Brava e produttiva nel lavoro ma anche discreta e diplomatica, un’operosa donnina con la casa instagrammabile e nemmeno un’ombra di polvere, una brava cuoca, una compagna/moglie/madre irreprensibile, una che porta l’anello al dito perché sennò non vale. Ecco, basta. Non posso e non voglio essere come gli altri desiderano. E non c’entra solo il femminismo: c’entra la religione, l’educazione. Troppi segni della croce e troppa poca indipendenza.

Ti è mai capitato di essere l’unica donna nel posto di lavoro?

Solo una volta. Ho lavorato come segretaria in un’auto officina con cinque uomini.
È stata un’esperienza bellissima: nessuno di loro mi ha trattato come una bambola, nessuno di loro ha pensato che fossi scema.
In particolare ho notato una sorta di istinto di protezione nei miei confronti in situazioni che potevano mettere a rischio la mia incolumità fisica.

Quali pensi siano i tuoi limiti in quanto donna? Che cosa potrebbe aiutarti a migliorare il tuo lavoro?

Forse il limite più grande sta nel mio aspetto. Mi capita spesso di sorprendere chi mi ha sottovalutata perché si è soffermato su come sono fuori.
Io sono piccoletta, sono vanitosa e sciantosa, mi piacciono i vestitini e le scarpe col tacco, sono sempre ben pettinata e truccata. Carina e curata = superficiale e sciocca. Chi riesce ad andare oltre l’esteriorità lavora con me, chi si limita da solo può anche accomodarsi fuori. Non voglio rinunciare alle cose che mi danno gioia: essere freelance mi aiuta in questo. Cosa potrebbe migliorare il mio lavoro? Mettere una croce sopra alla sindrome dell’impostore.

Che tipo di sostegno ci vuole per raggiungere la tua passione, il tuo sogno, che cosa farebbe davvero la differenza?
I have a dream però non ridete: io sogno di fare la mecenate. Sogno di poter sostenere gli artisti e permettere loro di esprimersi al meglio senza il timore delle bollette da pagare. La differenza quindi la farebbe una grossa eredità 😀

Quanto pensi influisca la politica nel femminile o sulle minoranze? Ci pensi mai quando vai a votare?

Ci penso sempre e sì, influisce moltissimo. Credevo fermamente nella messimpiega vaporosa di Hillary, il colore di capelli di Donald invece distrugge il mio senso estetico.

C’è un libro, un gesto, una persona che con le sue parole, o con il suo atteggiamento ti ha ispirato? Qualcosa che ti ha influenzato positivamente anche solo facendoti riflettere in proposito? Ce ne parli?

Mi viene in mente subito Virginia Woolf e il suo “Una stanza tutta per sé”.
Cito: “Sarebbe un gran peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come loro, o assumessero il loro aspetto; perché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà del mondo, come potremmo cavarcela con uno solo? L’educazione non dovrebbe forse sottolineare e accentuare le differenze invece che le somiglianze?”

Come sono divisi i compiti a casa tua? Come concili il tempo dedicato al lavoro, con quello dedicato alle persone che ami? Sono cambiate le cose rispetto alla tua famiglia d’origine: come erano divisi i compiti tra i tuoi genitori?

La divisione dei compiti è equa e spesso legata ai gusti: io cucino ad esempio, lui carica la lavastoviglie perché è straordinariamente bravo con gli incastri. Riesco a conciliare la vita lavorativa ed emotiva per fortuna. Nella mia famiglia d’origine era tutto diverso: nonostante entrambi lavorassero, il peso delle faccende domestiche era a carico di mia madre. Negli anni però le cose sono cambiate: ritengo che l’aver convinto mia madre a smettere di sbucciare la frutta a mio padre sia una grande vittoria.

Sapevi che l’associazione tra il rosa e il femminino è avvenuta in tempi relativamente recenti e per una scelta arbitraria? Che idea ti sei fatta/o rispetto agli stereotipi di genere?

Quando riguardo le foto della mia infanzia sono sempre annegata nel rosa. Abiti rosa, scarpe rosa, fiocchetti rosa, fasce rosa, capelli stile Raperonzolo. In tutte le foto sorrido avvolta nel tulle: perché mi piaceva e mi piace ancora, anche se non lo uso spesso, almeno nell’abbigliamento. Non faccio solo “cose da femmina” e lui non fa solo “cose da maschio” ma ammetto di entrare parecchio in crisi quando le mie amiche mettono al mondo dei figli e voglio comprare per loro un regalo. Che colore scelgo? Spesso mi butto sulle stampe di animaletti buffi perché ho sempre il timore di alimentare gli stereotipi.

In che cosa ci si può impegnare per cambiare le cose? Ci racconti una cosa semplice che possiamo cominciare a fare subito?

Penso che dovremmo smettere subito di fare qualcosa solo per compiacere gli altri. Rafforzare la nostra autostima, smettere di sentirsi sbagliate, di non valere abbastanza. E parlare di più, vederci di più.

Simona Sciancalepore

Se mi chiedete che cosa faccio, di solito rispondo scrivo. Scrivo perché Jo March scriveva e anche a me veniva facile. Leggo anche, perché, secondo me, la scrittura la fa chi la legge: è così che contamino la mia. Revisiono tanto. Tante cose non mie, per lavoro. Rileggo, leggo ad alta voce, cancello e riscrivo. Scrivo anche quando non scrivo. Lì partono la musica, le immagini e ovviamente i titoli di coda.

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