L’angolo del freelance femminista. Intervista a Donata Columbro

Trump ha vinto le elezioni. E io l’ho presa male.
Ho frignato un po’, tanto.
Ho frignato ancora di più quando Hillary Clinton ha detto che non finisce qui, che lei ci ha provato. Che ora tocca a noi provarci. Poi ho smesso di frignare e l’ho presa in parola, che come dice un tweet ancora attuale, 1 donna ogni 3 giorni in Italia muore uccisa da un uomo che conosce.
Allora ho pensato che una rubrica con la parola femminista nel titolo ci stava e miss Marano è stata subito d’accordo. Ecco l’angolo del freelance femminista, una rubrica che ci tiene a parlare di femminismo con maschi e femmine, freelance e non. Una rubrica rispettosa nei toni e nei modi, fatta della solita intervista a persone diverse. Una rubrica che si chiede, come spiega bene la giornalista inglese Caitlin Moran, come si fa a essere donne e a dire “non sono femminista” e anche – aggiungo – come si fa a essere uomo e a dire “non sono femminista”? Questa rubrica ci vede tutti come esseri umani, che la parità di genere è un problema di tutti, per diventare come ha detto meglio di me l’attrice inglese Emma Watson “la versione più vera e completa di noi stessi”.

Oggi intervistiamo Donata Columbro

Descriviti.

Giornalista e digital strategist: in pratica lavoro nella comunicazione, aiutando a far emergere le storie che possono cambiare il mondo. Sono curiosa e mi annoio in fretta: per questo guardo sempre al di là di quelli che sono i miei “limiti” e provo a capire quanta bella fatica posso fare per superarli e quanto posso imparare in questo cammino. Leggo (romanzi!), guardo serie tv e corro.

Cosa significa per te femminismo? Quanto pensi c’entri il sesso, i peli, i lavori domestici, i commenti sul fisico?

Femminismo per me è essere arrabbiati per come funziona la questione del “genere”, nel 2017. Soffrire quando un’altra persona, uomo o donna, usa gli stereotipi per descrivere l’altro sesso. Quando le scelte di vita che coinvolgono me e il mio compagno non rispecchiano quelle “tradizionali” e dunque sono soggette a commenti, di uomini e donne, che mi fanno soffrire. Quando per il solo fatto di abitare un corpo femminile ho dei limiti che mi sono imposti dalla società in cui vivo. Per esempio: non sentirmi sicura di poter attraversare la città, di notte – no, anche di giorno – vestita nei modi che preferisco. Quando non posso scegliere liberamente di andare a correre in un parco isolato o, se lo faccio, penso che sia meglio tenere nascosta una pietra sotto le maniche.
Sì, c’entrano il sesso, i peli, i commenti sul fisico, il lavoro domestico: perché c’entrano i concetti precostituiti su come vediamo e classifichiamo il mondo in generale. C’entra la libertà e c’entra soprattutto il corpo.

Ti è mai capitato di essere discriminata sul lavoro o a scuola per via del genere?

Discriminata no. Però mi è capitato di fare un’orribile riflessione, che confesso in queste righe. Recentemente ho rifiutato un lavoro a tempo indeterminato per continuare a essere freelance. Qualche giorno fa ho pensato: “ecco, non ho ragionato da femmina. potevo accettare il lavoro, fare un figlio, prendere la maternità e magari licenziarmi dopo qualche tempo per tornare freelance”.
“Ragionare da femmina”? Ci rendiamo conto? Perché sono arrivata a pensare questo?
Perché da freelance pensare di avere figli è molto più complesso che da dipendente, e questo non è colpa mia che sono femmina, ma è colpa del modo in cui è normato il lavoro indipendente in Italia.
Perché per gli uomini non esiste il congedo obbligatorio, e quindi questo ci mette in assoluta posizione di disparità.
Perché ho avuto amiche che hanno fatto questi ragionamenti, e io le ho biasimate: ma perché l’ho fatto? non è stato invece un ragionamento sensato data la società in cui viviamo?

Nel tuo quotidiano paghi uno scotto personale per via del genere?

Non uno scotto, più che altro è il dover superare le sottili allusioni al fatto che essendo una gran lavoratrice, che “non si accontenta” appunto, che è piena di ambizioni, inevitabilmente sono una “delusione” e non sono “portata” all’essere una brava donna di casa. Già il fatto di scriverlo lo rende così assurdo. Eppure è così.

Ti è mai capitato di essere l’unica donna nel posto di lavoro?
In gruppi di lavoro, sì. Principalmente perché mi capita di occuparmi di tecnologia in contesti tipicamente maschili. (Ecco, detesto anche scrivere “tipicamente maschili”).

Quali pensi siano i tuoi limiti in quanto donna? Che cosa potrebbe aiutarti a migliorare il tuo lavoro?
Sono limiti che riguardano l’essere 30-something e dimostrare qualche anno in meno: mi capita che le persone mi giudichino “una principiante” per questo, nonostante lavori da ormai 9 anni, e mi chiedo se succeda lo stesso agli uomini della mia età.
Cosa potrebbe aiutarmi a migliorare il mio lavoro: non mettermi nella condizione di “inferiorità” e agire come se quel preconcetto su di me fosse la verità.

Che tipo di sostegno ci vuole per raggiungere la tua passione, il tuo sogno, che cosa farebbe davvero la differenza?
Sai quando si dice che i robot ci ruberanno il lavoro? Ecco, io un po’ lo spero. Vorrei un assistente robot che mi aiuti in tutto quello che considero una perdita di tempo: le pulizie di casa, mantenere il frigorifero pieno – per fortuna esistono i servizi di spesa online – , la gestione della contabilità (anche la mia commercialista merita una statua da quanto è brava!), smistare la posta, comprare biglietti del treno, prenotare visite…ci siamo capite 🙂

Quanto pensi influisca la politica nel femminile o sulle minoranze? Ci pensi mai quando vai a votare?
Influisce moltissimo e ci penso. La vittoria di Trump negli Stati Uniti mi ha fatto molto male.

C’è un libro, un gesto, una persona che con le sue parole, o con il suo atteggiamento ti ha ispirato? Qualcosa che ti ha influenzato positivamente anche solo facendoti riflettere in proposito? Ce ne parli?
Una è la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie perché in quanto donna, africana, emigrata negli Stati Uniti deve affrontare una triplice lotta quotidiana con il suo corpo in mezzo ad altri corpi diversi dal suo. Oltre che di meravigliosi romanzi, è autrice del saggio “Dovremmo essere tutti femministi”, dove cita anche la rabbia di cui parlavo sopra.
Poi c’è Sheryl Sandberg, che in “Facciamoci avanti” per prima mi ha fatto notare i limiti che ci mettiamo da sole in ambito lavorativo, il tirarsi indietro, il non sedersi al tavolo per discutere ed evitare di prendere la parola.

Come sono divisi i compiti a casa tua? Come concili il tempo dedicato al lavoro, con quello dedicato alle persone che ami? Sono cambiate le cose rispetto alla tua famiglia d’origine: come erano divisi i compiti tra i tuoi genitori?
Ci sono alcuni compiti che ho preso in carico, perché a mio marito non piacciono, e viceversa. Abbiamo una divisione abbastanza paritaria, ma da fuori io sono quella che “non fa abbastanza” (perché ad esempio deleghiamo ad altri alcuni compiti) e lui quello che “mi aiuta”. Nel 2017.

In famiglia mia madre ha principalmente in carico tutto quello che riguarda la casa, anche perché ha lasciato il lavoro quando ero piccola. Ma mi ha trasmesso l’importanza di lasciar perdere le pulizie se mentre spolveri ti imbatti in un buon libro in cui perderti.

Sapevi che l’associazione tra il rosa e il femminino è avvenuta in tempi relativamente recenti e per una scelta arbitraria? Che idea ti sei fatta/o rispetto agli stereotipi di genere?
Io sono quella geek, che odia lo shopping, fa un sacco di sport e si lamenta quando sta male. Lui adora i profumi, comprare abiti di marca e non ha idea delle differenze tra smartphone usciti nell’ultimo anno. Io ho inseguito il lavoro dei sogni nella mia città dei sogni e lui ha lasciato tutto per venire con me. Quando si tratta di stereotipi, siamo i campioni a sfidarli.

In che cosa ci si può impegnare per cambiare le cose? Ci racconti una cosa semplice che possiamo cominciare a fare subito?
Prima ho parlato di rabbia. Come dice Chimamanda Ngozi Adichie: “Il genere, per come funziona oggi, è una grave ingiustizia. Noi tutti dovremmo essere arrabbiati. La rabbia è positiva, continua, perché può innescare cambiamenti”. Per esempio nel modo in cui educhiamo ed educheremo i nostri figli. Non ne ho, al momento, ma la prima cosa che metterò in discussione sarà “l’insegnare ai maschi a essere virili e alle femmine il doversi mettere da parte”.

Simona Sciancalepore

Se mi chiedete che cosa faccio, di solito rispondo scrivo. Scrivo perché Jo March scriveva e anche a me veniva facile. Leggo anche, perché, secondo me, la scrittura la fa chi la legge: è così che contamino la mia. Revisiono tanto. Tante cose non mie, per lavoro. Rileggo, leggo ad alta voce, cancello e riscrivo. Scrivo anche quando non scrivo. Lì partono la musica, le immagini e ovviamente i titoli di coda.

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