Scrivere, scrivere, scrivere! In questo post faccio l’apologia di chi scrive per lavoro, dei copy, anzi, dei writer. Se traduco con scrittori ti porto fuori strada, perché pensi alla narrativa, allora mantengo il termine inglese, un po’ un ombrello sotto al quale rientrano diverse figure o, forse, i diversi cappelli che chi scrive per lavoro deve indossare durante la giornata. Alla fine del post spiego anche perché per me è importante questa apologia.
L’apologia in realtà non la faccio io, ma John Saito in un post su Medium: Why your design team should hire a writer. Writers + Designers = A match made in heaven. Saito nella sua short bio scrive: Designs words @dropbox, e questo spiega tante cose sul suo punto di vista. Io segnalo a nostro beneficio alcuni passaggi interessanti.
I writer: la tessera che manca al puzzle
Il succo del discorso di Saito è che se si vuole migliorare il design è meglio arruolare un writer, uno che lavora con le parole scritte, uno che “think like designers”.
Cita aziende del calibro di Adobe, Spotify, Slack, HBO, GoPro, Intercom che in questi ultimi due anni hanno assunto i loro primi “scrittori di prodotto”, product writers. Certo, ammette Saito, non tutte le aziende possono permetterselo, però è bene tenere a mente una cosa: se fossero proprio loro la tessera che manca al puzzle?
I writer sono dei designer
“Progettare una sequenza di azioni, un’esperienza d’uso, è molto simile a scrivere una storia – una storia interattiva. E per raccontare una storia che coinvolge, è d’aiuto avere uno scrittore nella stanza”, suggerisce Saito.
E io dico che è vero anche il contrario.
Questo il testo di partenza:
Elasticità di orario
Continuerà a trovare applicazione, salvo successiva revoca, a favore di tutto il personale appartenente alle Aree Professionali, un’elasticità di orario in entrata, intesa quale possibilità di posticipare l’ingresso, fino a 30 minuti, rispetto all’inizio dell’orario di lavoro fissato per l’unità produttiva di appartenenza con correlato recupero da parte dell’interessato o alla fine della stessa giornata lavorativa ovvero in altre giornate lavorative dello stesso mese di riferimento (ad es. in caso di orario di lavoro previsto tra le 8.25 e le 16.55 il lavoratore può iniziare la prestazione lavorativa, anche quotidianamente, in una fascia oraria compresa tra le 8.25 e le 8.55, mentre il termine della prestazione giornaliera non potrà essere comunque anticipata rispetto alle ore 16.55).
(no comment, per favore)
Questa la rivisitazione che mi ha fatto su misura Nicola Mastrorilli, un esperto di data visualization:
Certo, poi andrebbero modificati anche i testi scritti in piccolo – e infatti questa sarebbe la mia parte di lavoro – però sono certa che questo tipo di traduzione sia di un’efficacia lampante. Lo ripeto sempre in aula: dove non arriva la parola da sola, arrivano la grafica, il design, la visualizzazione dei dati. Spessissimo è un lavoro di squadra che risolve i problemi.
I writer risolvono problemi
Poche parole sbagliate possono causare grossi problemi di design, dice, Saito: non sarebbe bello avere nel gruppo un writer che aiuta a risolverli?
Fonte: Crisi d’identità, di Roberto Pasini
Nel suo ebook Crisi d’identità Roberto Pasini spiega che sul furgone c’è scritto Sturbucks, ma, quando si apre la portiera, voila! (Sucks = fa schifo). Esperienza d’uso, quella sconosciuta!
Il lavoro dei writer è prezioso perché sanno unire i puntini: se i designer si focalizzano su un’area di prodotto alla volta, i writer allargano lo sguardo sino a riconoscere le discrepanze e a individuare le connessioni tra le diverse esperienze di prodotto, dice Saito.
A me è venuto in mente questo esempio:
Fonte: sito di Arborea
Trovo che nel caso di Arborea il matrimonio tra designer e writer sia felicissimo: consiglio di visitare il sito per notare quanta coerenza di immagini e di linguaggio ci sia. (Questo è un esempio che ho scoperto grazie a Mafe, qualche anno fa).
I writer accordano le parole
Se le parole suonano coerenti, accordate, allineate, giuste è grazie al fatto che i writer non buttano via niente: leggono, registrano, annotano qualsiasi parola, commento, messaggio che arriva alle loro orecchie da parte di chi fa esperienza del prodotto. Perché solo così riescono a scrivere un copy con il tono giusto dosando tutti gli elementi che servono. Qui riporto l’immagine presente nel post, che mi piace molto perché rende l’idea del lavoro che facciamo noi tutti quando scriviamo: alzo questo, abbassa quello, qui metto un po’ di umorismo, qui ammicco, qui …
Fonte: post di Saito
I writer sudano
“Good writers sweat the details”, perché armeggiano con le parole finché non trovano quella giusta. Ma, chiede Saito, a qualcuno interessa la qualità del linguaggio? Importa a qualcuno se in una pagina c’è scritto “log in” e in un’altra “sign on”? Altroché! E per una ragione molto seria: se un’azienda non spende un po’ di tempo per scrivere con un linguaggio appropriato, accordato, coerente, perché i consumatori dovrebbero avere fiducia in lei e concederle tempo, e soprattutto denaro?
Fonte: Crisi d’identità, di Roberto Pasini
In questo caso non si tratta di un prodotto, ma di un logo. Il logo di “prima” e di “dopo”. A un anno di distanza, scrive Roberto, è stato ritirato il “dopo” e si è tornati al “prima”. Perché scrivere Rome&You per parlare di Roma, capitale d’Italia e della latinità? Roberto sottolinea poi: “Lo stesso slogan gioca anche su «me&you» che richiama più una tariffa telefonica che una città turistica”. Ecco. E dall’altro lato: perché i pallini disordinati al posto della corona? Roma caput mundi non a caso, no? Qui il lavoro di squadra c’è stato, ma al rovescio.
Writer e designer: una magia
Poi Saito ci va giù forte: i writer che raccontano un prodotto devono spesso tradurre concetti difficili in parole più semplici possibile. A volte, mentre scrivono, si rendono conto che non c’è un modo semplice per spiegare la caratteristica di un prodotto: questo sovente significa che il design non è intuitivo. Un design confuso porta a scrivere male.
In altre parole, dice Saito, i writer spingono il design a essere migliore e un design migliore porta come risultato a una scrittura più efficace.
Fonte: sito Alessi
Prova a immaginarti questo contaminuti di Alessi senza la scritta “SECOND ->”. Sarebbe una meravigliosa paperella che io comunque vorrei a spander bellezza nella mia cucina, ma, se non sapessi a che cosa serve, non capirei subito che è un contaminuti. La scritta disambigua. I designer dicono che non bisogna spiegare troppo, e hanno ragione, qui basta la parola 🙂
Scrivere è difficile
“I think writing is tough”, scrivere è una cosa difficile, dice Saito, e un buon testo è il risultato di innumerevoli affinamenti tecnici che i writer hanno portato avanti nel corso degli anni. Un conto è produrre grandi quantità di testo, un conto è padroneggiare le tecniche utili a renderlo interessante, accattivante, efficace.
Ci vuole quello che in italiano chiamiamo mestiere.
Perché non appoggiarsi al mestiere dei writer, allora?
E a chi dice che c’ha un cugino che è uscito col massimo dalla maturità e che può scrivere i testi del sito a occhi chiusi, rispondo con queste parole di Munari:
Fonte: mia foto alla mostra di Bruno Munari
Su la testa, scrittori!
Sì è vero, Saito fa un po’ la retorica del writer, ma, da Designs words @dropbox, chi la può fare meglio di lui?
E a me piace questa retorica sbilanciata a favore di chi scrive, dovremmo impararla. Se noi che scriviamo spesso siamo chiamati solo dopo che i web-qualsiasi-cosa hanno fatto la loro parte di lavoro e se quando arriviamo non c’è più budget, è anche un po’ per colpa nostra. Se imparassimo a venderci, nel senso di far capire che razza di fatica è pensare, progettare, scrivere, organizzare le parole, non faremmo sempre la figura delle cenerentole.
“Che ci vuole a scrivere qualche riga?”. Un sacco di lavoro!
Allora, su la testa, writer, spieghiamo il nostro lavoro, spieghiamo che fatica è arrivare a un testo che, se fluisce limpido e chiaro, è perché ha alle spalle innumerevoli interventi di sega e cesello.
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Sul rapporto tra scrittura e design consiglio di andare a leggere questo interessante e istruttivo post di Luisa Carrada: Verso il verbal design.
Grazie alla mia amica Miriam Bertoli: è lei che mi ha segnalato il post di John Saito 🙂