Le guerriere vulnerabili di Timbuktu

Miglior Rivista Digitale per Bambini ai Digital Magazine Awards di Londra, primo investitore 500startups, sede a Frisco, under 35: sono solo alcune delle caratteristiche di Timbuktu, il primo magazine per bambini su iPad in italiano, inglese e spagnolo (la versione nostrana esce distribuita in collaborazione con Corriere della Sera), ideato da Francesca Cavallo ed Elena Favilli con cui chiacchieriamo.

Foto di Timbuktu
Foto di Timbuktu

Da fuori sembra che il mondo delle app sia maschile: è così? Com’è per due donne buttarsi in questo settore?

La percezione è corretta. Il mondo delle startup è a predominanza maschile, sia lato investitori sia lato imprenditori.
Pensa che il 90% dei fondi di venture capital sono gestiti da uomini e vanno ad aziende fondate da uomini. Alcuni fanno eccezione come 500startups, il nostro primo investitore ma non sappiamo come sarebbe l’innovazione se ci fossero più donne al comando. Essere due donne fondatrici di una startup è ancora un’anomalia, che porta con sé pregiudizi e difficoltà. Spesso sentiamo imprenditrici che dicono: “Macché, se sei brava la discriminazione non esiste”. Ma come?! Purtroppo il maschilismo fa così parte della nostra cultura economica che spesso, anche le persone che operano nei settori più all’avanguardia, non riescono a vederlo.
Noi combattiamo questo squilibrio attraverso il valore di ciò che facciamo, e affermando un modello che chiamiamo leadership della vulnerabilità: a differenza dei maschi, impauriti se giudicati deboli, crediamo che la condivisione degli errori e l’assunzione delle proprie responsabilità faccia capire la statura di un leader.
Per quanto riguarda il buttarsi… è proprio la parola giusta! I condizionamenti con cui cresciamo ci spingono a provarci meno rispetto agli uomini, perché gli si perdona tutto più facilmente. Sheryl Sandberg, COO di Facebook, ha scritto un libro molto interessante, Lean In, invitando le donne a buttarsi. Noi lo abbiamo fatto, senza paura di essere giudicate.

Credete nei modelli educativi creativi: cosa rispondete ai genitori che storcono il naso all’idea che i bimbi si avvicinino già da piccoli a pc e tablet?

Che è inutile storcere il naso, perché che lo vogliano o meno sono il loro nuovo abbecedario. Pinocchio oggi si andrebbe a comprare un tablet! 

Avete una società americana: quali sono i vantaggi rispetto all’Italia? Meno tasse, contabilità facilitata, previdenza, ecc.

Il mondo delle startup è molto più consolidato negli Stati Uniti, quindi ci sono molti fattori che ne facilitano l’avvio (tasse, costituzione legale, strumenti d’investimento). Il motivo che fa davvero la differenza però non sono i soldi, cui è molto più difficile avere accesso visto che si tratta dell’ecosistema più competitivo del mondo. Il contesto fa la differenza: San Francisco e la Bay Area sono un acceleratore naturale, che permette di far crescere il tuo progetto a velocità che in Italia ancora ti sogni.

Se ho un’idea per un’app ma non la so sviluppare come faccio a trovare un bravo sviluppatore, onesto e che non mi freghi?

Se non hai competenze tecniche ed è la prima volta, metti in conto che farai molti errori: non ci sono ricette magiche su questo, sono competenze che si acquisiscono solo sbagliando. Un modo per tutelarsi però è guardare i lavori che la persona in questione ha fatto in passato e chiedere almeno 3 referenze a persone che sono state suoi supervisori/capi. Assumere, e in generale scegliere le persone con cui lavorare, è la parte più difficile del lavoro di una startup. Avendo fatto ormai decine e decine di colloqui abbiamo acquisito un minimo di dimestichezza, ma serve tempo. E non pensare che assumere amici sia più facile, anzi! Se sei onesta e ci tieni all’amicizia, tenderai a tutelarla a scapito di tutto il resto, compreso il lavoro. E non è giusto: t’impedisce di valutare obiettivamente il reale contributo che questa persona sta portando alla tua azienda/progetto.

Quali passi fondamentali consigliereste a chi volesse seguire le vostre orme?

Scrivere di quello che si fa e raccontarlo a chiunque, sui blog, su fb, su twitter, in autobus…

Poi studiare costantemente e confrontarsi con le best practices che esistono nel proprio settore di riferimento, senza timori reverenziali. E poi partecipare a startup competition: ora ce ne sono più che mai e aiutano a farsi le ossa, raffinare la propria idea e incontrare i primi investitori. Non aver paura dei feedback che riceverai, anche se negativi, saranno la cosa più importante su cui iniziare a costruire la tua startup.

Logo di Timbuktu
Logo di Timbuktu

Tra i tanti avete partecipato a 2 programmi per startup: Working capital in Italia e 500startups in California. Quali le differenze?

Working Capital, quando l’ho fatto io nel 2010, era un concorso che premiava con una borsa di studio progetti imprenditoriali. 500startups è un acceleratore, che investe, in cambio di una quota della sua società e che ti dà accesso ai suoi spazi e al network di mentor e di investitori su scala mondiale. Credo che ora anche Working Capital stia diventando una rete di spazi d’incubazione/accelerazione in giro per l’Italia e in questi giorni ne stanno aprendo uno nuovo a Bologna. L’Italia non è la Silicon Valley, ma di certo non significa che qui non si possa fare innovazione. L’importante è avere in testa fin dall’inizio un’idea di business che possa avere un potenziale di mercato internazionale: oggi non ha più senso costruire un’impresa puntando solo al mercato locale.

Per chi volesse lavorare nelle new technologies l’estero è l’unica via?

Non necessariamente. In Italia si stanno muovendo molte cose. Nana Bianca a Firenze è uno degli esempi più virtuosi in questo senso, io lo consiglio sempre a tutti quelli che vogliano partire con una startup in Italia. Paolo Barberis e Alessandro Sordi stanno facendo un lavoro magnifico e sono due persone molto competenti e anche oneste e trasparenti, sempre dalla tua parte, cosa non scontata quando si parla di investitori.

Da editore digitale (di ebook) a editore digitale (di riviste per iPad) come vedete il mercato italiano in questo settore?

Piccolo purtroppo e immaturo perché la penetrazione dei tablet non è ancora così capillare come in altri Paesi e anche perché gli editori tradizionali sono molto più orientati a difendere la loro roccaforte cartacea piuttosto che investire sul digitale. È una strategia miope, con cui dovranno presto fare i conti. Il digital publishing esploderà anche in Italia, e chi non sarà preparato incontrerà grosse difficoltà.

Perché Timbuktu funziona? Qual è il bilancio del vostro lavoro?

Con i genitori e gli insegnati funziona per il suo approccio estroso, innovativo e rispettoso del mondo dell’infanzia e dell’educazione. Con i bambini funziona perché si sentono rispettati e trattati alla pari, si affezionano ai personaggi e vogliono mettersi alla prova con i quiz e i giochi. Noi siamo entusiaste: in due anni e con un gruppo di sole 4 persone, abbiamo costruito un prodotto che ha appena vinto il premio come Miglior Rivista Digitale per Bambini ai Digital Magazine Awards di Londra, sbaragliando concorrenti come National Geographic Kids, Mondadori e BBC. Soprattutto, abbiamo costruito un’azienda che si è conquistata uno spazio e un nome a livello internazionale in uno dei settori più difficili del digitale in questo momento. Timbuktu è un’azienda che ha già altre 8 app sul mercato, che fa camps digitali per bambini, che progetta playgrounds in giro per il mondo, che sta lavorando su un cartone, insomma, è una vera children’s media company, e abbiamo appena cominciato!

Se volete avere maggiori info, visitate il sito di Timbuktu o scrivete a hello@timbuktu.me

Marianna Martino

Classe ’83, agitata, battutara, dipendente dalla michetta, sono oppure sono stata editore, editor, correttore bozze, copywriter e webcontent. Ho lavorato qua e là, collaborato a molti progetti, viaggiato assai e scritto una guida su Torino. Guardo i film in lingua originale, ascolto i Sigur Ros e non mi nego mai un bicchiere di buon vino.

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