Come costruire e condurre una buona intervista

L’intervista perfetta? Mettiamoci il cuore in pace: non esiste!

Le variabili in un’intervista sono infinite: dipendono da chi scrive, dalle domande che vengono poste, dall’ordine che si dà a quelle domande, dalla voglia di chi viene intervistato di mettersi in gioco, raccontarsi, essere sincero. Dalla capacità di chi intervista di mettersi in collegamento con l’intervistato, di immedesimarsi nel suo racconto, nelle sue parole.

Insomma, la stessa persona intervistata da dieci persone probabilmente darà vita a dieci interviste differenti.  

Poco importa. Ciò che conta, a mio modestissimo parere, è che da quell’intervista emerga una specificità, l’unicità che quella persona può portare, per quello che è e per ciò che rappresenta.

Sulla sua professione, sulla sua passione, sulla sua vita. E non crediamo che solo le persone “importanti” o “famose” siano interessanti.

La bravura di chi intervista sta nel cogliere l’unicità di ciascuno, nascosta dietro a strati e strati di grigiore.

Perché dovreste intervistare qualcuno?

Se siete giornaliste o blogger potrebbe servirvi per lavoro.

Ma potrebbe servirvi anche se avete un’azienda, piccola o grande, un’attività, un’associazione, un negozio con un sito in cui dare spazio alle persone che lavorano con voi, ai collaboratori, ai fornitori, ai clienti.

Perché un’intervista racconta molto: più della descrizione di un prodotto o di un servizio, di una scheda tecnica, della spiegazione di un lavoro.

Un’intervista, se ben fatta o, meglio, se ben costruita, mette in risalto ciò che fa la differenza, l’esperienza personale, la storia di una persona e tutto ciò che rappresenta.

Ma partiamo dall’inizio.

Come si organizza un’intervista?

Primo: leggendo tanto

Leggete. Interviste a personaggi famosi e non. Assorbite lo stile, osservate la descrizione del contesto, prestate attenzione al ritmo, alla scelta delle parole, alla lunghezza delle frasi.

A me dello sport importa assai poco, ma ci sono interviste di giornalisti sportivi che sono veri capolavori, hanno il ritmo di una partita di tennis e l’energia di una ammucchiata di rugby.

Delle interviste di Vanity amo gli attacchi, quell’istante in cui la giornalista racconta come è vestito o vestita l’intervistata, se è truccata, se è tesa o rilassata, dove si sono incontrate, di solito nella hall di un grande albergo. Quelle poche righe mi permettono di vivere il momento, è come se mi sedessi accanto a loro.

Secondo: preparandosi ed essendo curiosi

Che sia una rock star, un calciatore famoso o il direttore vendite di un’azienda, è bene arrivare preparati all’intervista. Se si tratta di musica o di calcio e si è patiti dell’argomento, sarà facile.

Se si tratta del direttore vendite di un’azienda che produce cuscinetti a sfera, risulterà un po’ più complesso. A meno che non si sia patiti di cuscinetti a sfera 🙂

In ogni caso leggiamo, studiamo, approfondiamo l’argomento, sbirciamo i social e ciò che è già pubblico di quella persona e da lì partiamo, per costruire le nostre domande.

Siamo curiosi! Autenticamente curiosi, sempre. Dietro a un manager del cuscinetto a sfera può nascondersi un personaggio incredibile. Come dice il grande Gigi Marzullo: “Faccio interviste perché sono curioso”. E se lo dice lui…

Recentemente mi è capitato di intervistare un manager di un’azienda aereonautica, che si occupa di marketing. Mi ha raccontato che passa le vacanze in aeroporto, a veder atterrare e decollare aerei. Se non è un personaggio questo.

Decidiamo innanzitutto cosa vogliamo e dobbiamo far emergere:

  • Il ruolo della persona che intervistiamo
  • La sua storia professionale, intrecciata a quella personale
  • Ciò che la rende speciale
  • La sua visione, la sua esperienza
  • I suoi desideri
  • Il suo ruolo all’interno della nostra azienda, società, associazione

L’intervista: sediamoci ed ascoltiamo

Siamo una persona che incontra un’altra persona. Non siamo la Gestapo, ma nemmeno la professoressa di Filosofia che ci terrorizzava. Non ci sono risposte giuste o sbagliate.

Un’intervista non è un interrogatorio, un bombardamento di domande, ma una chiacchierata, distesa. Chi viene intervistato deve sentirsi a proprio agio, difficilmente altrimenti si aprirà, lasciando trapelare storie e aneddoti che faranno la differenza.

Se possibile, cosa che di questi tempi non è scontata, incontriamoci di persona.

Guardarsi negli occhi, osservare i movimenti di chi parla, capire le pause nel parlare, nelle quali magari ci si può infilare per carpire nuove informazioni, è utile e aiuta.

Ecco perché spesso consiglio, quando si è a buon punto con le domande e si hanno già tutte le informazioni necessarie, di dimenticarsi delle domande e procedere a istinto.

Non sempre è possibile, non sempre c’è il tempo, la predisposizione, la possibilità. Ma quando questo accade, in questo spazio sospeso, che assomiglia più alla chiacchierata fra amici che all’intervista professionale, emergono le storie più incredibili. Spesso arrivano a microfono spento, sulla porta, quando ci si è già salutati. Eppure arrivano, e sono un dono.

Il dopo intervista: sbobinare, lasciar decantare, rielaborare

Una volta terminata l’intervista, che probabilmente avrete registrato, sbobinatela, in tempi brevi: avrete fresco il ricordo di ciò che è stato detto.  

Poi, lasciatela decantare.

Quando la riprenderete sarà con occhi diversi, la leggerete nel suo insieme e la costruirete dandole la forma che desiderate.

Riprenderla significa spesso riscriverla, spostare le frasi, invertire l’odine delle domande, accorpare pezzi di risposte che in origine non si susseguivano, eliminare le ripetizioni, limare le espressioni colloquiali. Dare un ordine logico al discorso e attraverso quell’ordine, ritmo e sostanza.

Rileggere sì, rileggere no

Ci sono scuole e idee differenti. “Devo far rileggere ciò che ho scritto alla persona che ho intervistato?” – mi viene chiesto di tanto in tanto.

Sì, quando possibile penso sia meglio. Innanzitutto per una questione di rispetto: quella persona ha accettato di raccontarsi, esporsi con noi e tramite noi e noi le offriamo la possibilità di rileggere ciò che ha detto e ciò che pubblicheremo.

Inoltre, si evitano fraintendimenti. Nella chiacchierata qualche cosa è stato mal compreso, un passaggio non risulta chiaro, oppure si desidera aggiungere. Dalla rilettura guadagneremo entrambi.

Per finire, quattro indicazioni:

  • Curiamo l’attacco. Nelle prime righe si gioca tutto. Raccontiamo il contesto, se è indicativo, mettiamo in evidenza l’aspetto più interessante, anche se è stato detto alla fine o a microfono spento.
  • Siamo rispettosi. Capita che qualcuno ci dica: “Per cortesia questa cosa non inserirla, te la racconto ma resti fra noi”. Non sentiamoci super fighe solo perché riportiamo una confidenza.
  • Scegliamo le parole, con cura. Scegliere non significa censurare o cambiare il senso di ciò che ci è stato detto, ma dargli una forma curata ed efficace.
  • Ogni incontro è una ricchezza e un privilegio. Per quell’ora, due ore, mezz’ora, una persona ci ha raccontato qualche cosa di sé. E questo è un privilegio che pochi hanno: non dimentichiamolo.

Raffaella Ronchetta

Aiuto i liberi professionisti, associazioni e piccole aziende a raccontarsi online e off line. Attraverso la scrittura, l'ufficio stampa, le pr e un'insana curiosità. Che mi porta a voler sapere sempre qualche cosa in più. Amo scovare le storie che stanno dietro alle persone.

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