Soffrire per la grammatica si può
Non sono una grammar nazi, ahimè. Dovrei esserlo lo so. Perlomeno ci si aspetta che io lo sia. Se scrivi per lavoro tutti si aspettano che tu difenda la grammatica con la spada a raggi laser, vestita di solo scudo. Io no, almeno non così.
Sarà che soffro ancora al ricordo della me alle elementari, chiusa in cameretta mentre prova ad imparare a memoria le coniugazioni e i tempi verbali e c’è il sole, e io frigno e sudo chiedendomi perché non sono fuori a rotolarmi nei prati.
Non sono una grammar nazi, non punto il dito sistematicamente, non faccio gne gne gne però sono sensibile. Se faccio un errore ci rimugino su senza darmi pace. Se mi scappa uno strafalcione tengo il muso tutto il giorno: come ho potuto? Quindi sì sono molto sensibile all’uso corretto della grammatica. Son quella che l’accento al posto giusto la fa sorridere, che il passato remoto va di pari passo con le farfalle nello stomaco e che l’Accademia della Crusca merita a prescindere lunghi applausi immaginari.
L’errore è come il calzino bianco in un sandalo, sempre fuori luogo
Sono sensibile e mi viene l’orticaria quando vedo l’apostrofo confuso con l’accento, le a senza acca, e le doppie che si fanno single. Perché diciamolo al pari dei calzini bianchi, un errore brutto (non un refuso, che accidenti, capita eh), un errore brutto nella descrizione di un prodotto, nella homepage di un sito, nella brochure di presentazione della tua impresa, fa cadere tutta la poesia. La grammatica è roba sexy: è il primo approccio, è uno sguardo ben assestato, è una lusinga cucita su misura.
Tutto il resto è il calzino bianco in un sandalo e ciao proprio. Dimmelo tu se compri una cosa con una foto brutta e una didascalia sgrammaticata. Dimmelo tu se quella mano la stringi, che io non so.
L’arte di scrivere che fa pendant con l’arte di vendere
Per mettere i puntini sulle i, citando Treccani.it, la parola grammatica deriva dal greco tèchne grammatikè stava ad indicare “l’arte dello scrivere” per poi diventare l’insieme delle norme che regolano un particolare sistema linguistico. Se arte dello scrivere dev’essere, che arte dello scrivere sia, non credi? Tanto l’abbiamo capito che se la fa con l’arte di vendere.
Se non bastasse c’è zio Google a cui le parole scritte male non piacciono proprio e tu non vuoi rischiare che la tua pagina web sia rimbalzata dal motore di ricerca, no?
E quegli errori che cambiano totalmente il senso di una frase, vogliamo parlarne?
Meglio di no, meglio usare questo tempo per rileggere, cancellare e correggere. Che non lo diciamo, ma quei contenuti con anche solo un errore grammaticale (uno di quelli da orticaria) di solito non li condividiamo. Per non fare brutta figura ovvio.
Non sei tu è come scrivi: altri motivi per lasciarsi.
1. Non serve ingoiare un dizionario, basta consultarlo q.b.
2. L’agonia del grammar nazi si riconosce dall’intensità del gne gne gne.
3. Peggio di una pugnalata al cuore solo il “se avrei”.
4. Che sia rosa o no, se l’apostrofo non lo metti quando serve è errore. Errore da matita blu, per dire.
5. Le opinioni categoriche uccidono il congiuntivo, regolati.
6. La grammatica se non è sul foglio non è in testa: sillogismo.
7. Chi scrive senza fare errori scagli la prima gomma.
8. I “pultroppo”, i “siccome che” uccidono la libido e la nostra amicizia. Tra noi meglio il silenzio.
9. La proprietà di linguaggio non si compra, si studia.
10. La grammatica, che sa dettar legge persino ai re – Moliere, insomma se ci sono le basi il mondo è tuo.
“le doppie che si fanno sigle” cit.
forse è sfuggita una “n”?
;P
Sì è quel dannatissimo correttore automatico, che ho tolto ovunque, ma non ancora dal computer nuovo. Per fortuna i refusi si dimenticano, no?
Un’iniezione di allegria! Fantastica! Grazie
SMUACK!!!