I monologhi della vagina: un libro, un movimento, un modo per spezzare il silenzio

Vagina. Con la vagina ci nasciamo, cresciamo, la usiamo e ci viviamo quotidianamente, siamo adulte e femministe e non ci facciamo sconvolgere mica da una parola. Eppure, non sempre è stato così e non per tutti è così. 

Vagina: vietato nominarla

Proviamo a fare un piccolo esercizio. Tornate ai felici e ridenti momenti della vostra infanzia e ditemi come le vostre mamme e le vostre nonne chiamavano la vagina. Scommetto che potremmo fare un lunghissimo elenco di nomi: patatina, fiorellino, cosina, topina ecc ecc. Ma scommetto che il termine vagina non rientri nell’elenco. Un poco come Voldemort: colei che non deve essere nominata.

Non ci avevo mai fatto particolarmente caso, ma nel mio lungo, lunghiiiissimooo viaggio di rientro a casa per le vacanze di Natale (15 ore di dolce agonia gentilmente offerte da Trenitalia) mi sono ritrovata a leggere un libro che rimandavo da un sacco di tempo: “I monologhi della vagina” e per me è stata una grande scoperta.

L’autrice: Eve Ensler

I monologhi della vagina è un opera di V, precedentemente nota come Eve Ensler, ebrea statunitense e fervente femminista. Ha abbracciato la causa dopo aver subito diversi abusi sessuali in giovane età da parte del padre, assecondati dal silenzio della madre. Crescendo divenne drammaturga e insegnante di drammaturgia, la sua opera più famosa è proprio “I monologhi della vagina”. 

Racconti di vagine

Eve Ensler in questa opera raccoglie parole, pensieri e storie di tantissime donne che hanno subito abusi, limitazioni e pressioni fisiche e psicologiche. Ma anche di donne comuni.

I temi toccati sono tantissimi: i peli, la scoperta del proprio corpo, gli abusi sessuali, il prendere consapevolezza di se stessi e i maltrattamenti a cui comunemente una vagina va incontro nella sua vita. Tematiche di denuncia legate alla comune vita di ogni donna fino al trattare argomenti di forte denuncia culturale e storica, come le donne di conforto del brano “Ditelo”, costrette a prostituirsi dalle forze militari dell’impero giapponese per offrire “conforto” ai soldati giapponesi. Ma anche la limitazione nella libertà di scelta di alcune donne, come nel brano “Sotto il burqa” o “A suon di botte hanno strappato la ragazza dal mio corpo di ragazzo… o ci hanno provato”. Storie su storie, che ci fanno scoprire mille – e anche più – aspetti della violenza di genere. 

L’affermazione della vagina e la nascita del V-Day

L’opera di V, incredibilmente progressista per il suo anno di pubblicazione (1996), ha avuto un successo strepitoso. Donne e ragazze di tutto il mondo hanno deciso di parlare, di uscire allo scoperto e di raccontare la loro storia. Il silenzio doveva essere spezzato. Questo forte e crescente fermento femminista spinse Eve Ensler a fondare un nuovo movimento femminista, il V-Day (dalla V di Vittoria, Vagina e Valentino), che dal 1998, ispirandosi ai Monologhi della vagina, promuove ogni 14 febbraio eventi di sensibilizzazione e rappresentazioni dell’opera. Oggi il V-Day è un movimento di fama mondiale che raccoglie attivisti e storie da ogni parte del mondo e che nel tempo è riuscito ad aiutare migliaia di donne soggette a violenza, raccogliendo fondi e realizzando o finanziando centri di accoglienza. Ma come ci fa notare Eve Ensler, la battaglia è solo all’inizio, non può fermarsi. 

Cosa imparare dai monologhi della Vagina

Dall’esperienza di scrittura di V, ma soprattutto dall’esperienza dei movimenti nati intorno al V-Day (primo fra tutti One Billion Rising, nato nel 2013), c’è tanto di cui fare tesoro:

  • l’importanza del racconto di sé, non solo come atto di denuncia delle ingiustizie e violenze subite, ma anche come modo per riappropriarsi della propria storia. Noi freelance spesso siamo reticenti a raccontare il nostro valore, i traguardi raggiunti. Preferiamo farlo attraverso le parole di altre per non apparire arroganti, o con giri di frasi che stemperano la narrazione affermativa. Ci trinceriamo dietro un riserbo non dissimile da quello che viene infranto ogni volta che una donna sale sul palco e urla il nome che ha dato alla propria vagina. Se anche tu fai fatica a parlare (bene) di te, prendi esempio dalle persone che ogni anno salgono su quel palco e riappropriati dei tuoi successi!
  • La possibilità di condividere il proprio lavoro per crescere tutte insieme. Il movimento V-Day è nato nel momento in cui V ha concesso i diritti della sua opera in uso gratuito a chi aderisce alla sua lotta. In sostanza, i movimenti locali che aderiscono al V-Day possono mettere in scena I Monologhi della Vagina senza pagare diritti d’autore, a patto che aderiscano alle regole del movimento sul periodo di rappresentazione e sulla gestione dei fondi ricavati dallo spettacolo. Se hai un servizio o un prodotto che potrebbe aiutare la tua comunità trova il modo per renderlo disponibile gratuitamente per un breve periodo a un piccolo gruppo di persone che non potrebbero permetterselo ma alle quali potrebbe cambiare la vita. Oppure candidati per contribuire a C+B, noi che scriviamo su questo blog lo facciamo esattamente con lo spirito con cui V ha lanciato il V-Day.
  • Il potere creativo della “scomodità”. Elencare tutti i termini con cui vengono descritte vulva e vagina ad alta voce la prima volta lascia un senso di disagio, di stranezza e scomodità. Eppure se sei stata sul palco di un V-Day in giro per l’Italia (ne sono stati realizzati oltre 1000!), saprai che una volta superato il primo momento qualcosa si sblocca. E alla seconda rappresentazione di trovi ad aggiungere nomignoli, giri di parole, che parlano proprio della tua vagina e ne descrivono la personalità con una creatività che neanche sospettavi di avere. È un fenomeno che puoi sfruttare anche quando stai affrontando un progetto e ti ritrovi bloccata di fronte a un ostacolo. Non evitare il fastidio delle soluzioni spiacevoli, o il disagio di non sapere dove sbattere la testa. Lasciatici sprofondare per un po’. Elenca tutte le soluzioni possibili, anche le più assurde, a poco a poco qualcosa si sbloccherà e ti ritroverai a identificare la via d’uscita.
  • La forza. Che ti permette di non rinunciare, di non arrendersi davanti a nessuna difficoltà. La possibilità di essere parte di un gruppo ha un grandissimo potere.
  • La determinazione. Se sei sicura delle tue scelte e ti metti in testa degli obiettivi portali avanti. Si possono creare grandi cose, soprattutto se questi obiettivi sono radicati su valori forti.
  • Non sempre il mondo è rose e fiori. Ti troverai ad affrontare problemi di contabilità, di organizzazione, di burocrazia, persone che ti mettono in difficoltà, ecc. (ovviamente è possibile evitare o quantomeno ridurre il tutto grazie a C+B😉) ma cerchiamo di essere sempre realiste e di comprendere che non possiamo controllare tutto. Tutto quello che possiamo fare è affrontarlo nel momento in cui si presenterà.
  • Parlare. Tante donne in questo testo sono uscite dal silenzio, ma parlare è importante per tutte, anche nel proprio lavoro. Stare zitte e subire e/o accontentare senza fare domande non è la soluzione. Il cliente spesso non può sapere cosa è realmente utile, serve farglielo notare, sempre in modo educato ovviamente.
  • L’ultima è la più ovvia: abbandonare e fare del proprio meglio per far abbandonare a coloro che ci circondano i taboo che ancora la nostra società si trova ad affrontare. Sei una donna, sei mamma, moglie, fidanzata, indipendente, lavoratrice, lettrice, sportiva, artista, appassionata di cucina, appassionata di atterraggio sul divano e chi più ne ha più ne metta. Sei quello che vuoi e solo tu puoi porre i tuoi limiti nella vita e nel lavoro. Qualunque cosa tu scelga non ti rende migliore o peggiore, superiore o inferiore a nessuno.

Perché leggere questo libro: la paura della parola

Questo testo mi ha fatto riflettere. Siamo donne, e ci impegniamo ad affermare la nostra indipendenza a lavoro, a casa, nella vita privata e in quella pubblica, eppure ho notato di come spesso si conoscano poco alcuni dettagli o particolari lontani da noi. Oppure, ancora più assurdo, di come spesso una parola innocentissima fino a qualche anno fa risultasse sconveniente, e per alcuni lo è anche oggi.

Mia madre o mia nonna non credo abbiano usato mai nella loro vita il termine vagina al di fuori dell’ambito medico. Eppure, grazie al cielo, non ho mai avuto problemi di confrontarmi con loro per qualunque necessità o curiosità sull’argomento. Ma la parola è sempre sembrata una cosa fredda, lontana e distaccata dal nostro corpo, eppure non è così. La nostra vagina siamo noi, e noi siamo la nostra vagina. E non dovremmo avere timore, paura o riluttanza a chiamarla con il suo nome. 

La paura di un nome non fa altro che incrementare la paura della cosa stessa! – come dice la nostra carissima Hermione. Voldemort è Voldemort, mica lo possiamo chiamare passerino o farfallino o nasino (anche perché non ne ha uno, povero Voldi). Quindi perché non dovremmo chiamare la Vagina con il suo nome? È anche più calda, accogliente e gentile. 

In sintesi, leggetelo perché è interessante, leggetelo perché è istruttivo e leggetelo ad alta voce, leggetelo a chi conoscete, leggetelo pubblicamente a un evento V-Day. Se volete potete persino far nascere una comunità locale del V-Day e mettere in scena un evento. Leggetelo perché per prendere coscienza di piccoli e – solo all’apparenza insignificanti – dettagli della nostra vita, non è mai troppo tardi.

Non dimenticate mai, VIVA LA VAGINA! 

Vi auguro una buona lettura femminista.

A presto,

La vostra Roberta📚

Roberta Lodisco

Ciao, mi chiamo Roberta, ho 26 anni, sono una Siciliana che vive a Ravenna. Amo i libri, l'arte, il buon cibo e i bei posti. Nel mio tempo libero mi immergo in oceani di carta stampata (ma anche digitale) per trovare me stessa fra mille personaggi.

Facebook | Instagram | LinkedIn

Leave a Comment