Freelance e femminista. Intervista a Diara Diallo (Regine di denari)

Un’ora e mezza di intervista che è letteralmente volata! La professionista che presentiamo oggi è un vulcano di energia e di parole (nessuna delle quali è superflua).

Diara Diallo si definisce “francese per caso”: i suoi nonni materni sono emigrati dalla Sicilia e il padre è originario del Mali. Oggi vive in Italia, per amore, ma anche perché, difficile a credersi, per lei è stato più facile trovare lavoro qui che in Francia. Da due anni lavora come money coach, ma lasciamo che ce lo racconti lei.

Diara Diallo - Money Coach

Regine di Denari…

…è nato come progetto personale: un blog dove parlare di soldi con le donne. Nel 2018 è diventato un podcast, uno dei primi in Italia; la mia idea era arrivare a parlare di soldi tra donne così come si parla di qualsiasi altra cosa, consigliandoci il commercialista o il consulente finanziario, invece dell’estetista. Quando ho cominciato a fare formazione di money coaching però l’impegno era troppo e ho messo il podcast in stand-by, ma ho una gran voglia di riprendere queste conversazioni, magari attraverso delle dirette su Instagram.

Ho scelto di fare la money coach…

…perché subito dopo avere aperto il blog, mi sono resa conto che c’era grande interesse attorno all’argomento, soprattutto da parte delle donne che, in moltissimi casi, necessitano di una vera e propria educazione finanziaria. Mi sono formata al Money Coaching Institute e ho iniziato l’attività.

Prima mi occupavo di tutt’altro, organizzavo gruppi di gioco in inglese per bambini, quindi sono ripartita da zero, con tanto di sindrome dell’impostora, paura di non essere all’altezza e in più un trasloco, una gravidanza, un parto e una pandemia… sembra un film! Che sceneggiatura!

Oggi posso dire di avere segnali positivi. 

Ho scelto di lavorare con le donne perché, nonostante siamo metà della popolazione mondiale, continuiamo ad essere in una posizione di svantaggio e io voglio contribuire, per lo meno, a far sì che non ci mettiamo i bastoni tra le ruote da sole: c’è già il mondo che ci rema contro, non è necessario rendergli le cose più facili. Quindi cominciamo a non dipendere economicamente dagli uomini.

Oggi faccio prevalentemente consulenze individuali, attraverso un percorso che vuole esplorare il nostro rapporto con i soldi: cosa vogliono dire per noi, che emozioni ci suscitano, quali sono gli schemi che ripetiamo; faccio una sorta di radiografia del rapporto che abbiamo con i soldi, per comprenderlo in maniera profonda, in modo che, raggiunta questa consapevolezza, abbiamo veramente gli strumenti per fare le cose diversamente.

Recentemente ho lanciato anche una guida femminista alla serenità finanziaria: si tratta di un prodotto di base che serve ad approcciarsi al mondo del denaro, con esercizi e suggerimenti per la cura delle proprie finanze, consigli pratici su come appuntare tutte le spese, ma anche riflessioni più emotive sul denaro in sé, su cosa sia necessario per raggiungere i nostri obiettivi, su quali siano questi obbiettivi. Senza aver paura di parlare di femminismo, patriarcato e capitalismo, perché è fondamentale capire qual è il contesto in cui viviamo.

Essere femminista…

…oggi ha più senso che mai, anzi, a chi fa questa domanda mi verrebbe da chiedere in che mondo viva, o se crede che davvero questa sia la normalità, come in Matrix. 

Questa normalità non ci sta bene!

Se questa è la normalità io non voglio essere normale, perché normale non significa giusto; quindi se è normale che una madre stia a casa, o chieda il part-time per crescere i figli, non voglio essere normale. Non voglio che sia normale che certe cose siano automaticamente una mia responsabilità, per il fatto di essere donna e madre; automaticamente è la parola chiave: se ci si mette d’accordo, va bene tutto, il problema è quando le cose sono interiorizzate, non se ne parla, non si decide insieme la suddivisione dei compiti e delle responsabilità, nessuno dice niente, ma ci sono comunque delle aspettative su chi debba fare determinate cose. 

Ecco, forse è il caso di farsi due domande!

Io fino alla pandemia ho sempre pensato che la mia generazione fosse avanti e potesse raggiungere qualsiasi risultato; ce lo dicevano le nostre madri, le femministe che hanno lottato negli anni 70 e le wonder woman degli anni 80. Ci dicevano che se ci fossimo impegnate, avremmo potuto ottenere tutto ciò che volevamo dalla vita, ma con la pandemia ci siamo rese conto che, anche se abbiamo seguito alla lettera le indicazioni, l’alchimia non ha funzionato.

La realtà è che viviamo all’interno di un sistema che è più grande di noi e che ci stritola, non perché non siamo state abbastanza brave, ma perché è fatto così. Quindi con la pandemia molte donne, come me, si sono trovate ad occuparsi dei figli, perché il padre non poteva fare smart working e si sono date da fare per cercare il tempo di lavorare, ma spesso, anche se riuscivano a trovare il tempo, non avevano più le energie, si sentivano svuotate e magari hanno pensato che fosse colpa loro. Non è stato facile nemmeno per me realizzare che avevo aspettative poco realistiche, che non dipendeva da me e da come mi organizzavo, che se non ce la facevo più non era perché io non valevo abbastanza, ma che era il mondo a non permettermi di raggiungere quegli obiettivi.

Quando lavoro con le mie clienti cerco sempre di fare in modo che questa cosa sia molto chiara: non lavoriamo su noi stesse per arrivare al massimo delle nostre possibilità, non perché siamo sbagliate.
Teniamo sempre presente che in questo mondo essere al massimo delle nostre possibilità potrebbe non bastare e in questo caso non sarà colpa nostra, ma del mondo esterno: del capitalismo e del patriarcato.

Com’è difficile parlare di capitalismo e di patriarcato. Sembra sempre che quando diciamo queste parole vogliamo fare le vittime, ma non è così, non è colpa nostra! È vero che abbiamo delle responsabilità, una di queste è tutelarci il più possibile, ma non possiamo farci carico di problematiche che riguardano tutto il sistema: se mio marito ha un congedo di paternità solo di una settimana o di 10 giorni, io come posso riuscire a fondare una famiglia davvero egualitaria? Tutte queste influenze esterne ci portano a vivere una vita più tradizionale di quella che vorremmo e io, nonostante sia la paladina dell’indipendenza finanziaria, mi sono ritrovata ad avere una vita che somiglia molto a quella di mia suocera casalinga.

Discriminazioni sul lavoro per via del genere…

…non credo di averne mai subite; se è successo non l’ho capito o non l’ho voluto vedere; però mi sono capitati episodi di razzismo.

Una volta, in particolare, sono stata scartata dopo un colloquio perché, a detta di chi mi aveva intervistata, non parlavo sufficientemente bene l’italiano; naturalmente era palese che fosse una scusa, anche la persona che mi ha comunicato questa decisione per telefono era evidentemente imbarazzata nel dirmelo.

Se penso alla mia famiglia d’origine…

…mia madre chiamava la chiamava “le amazzoni”: lei, io e le mie due sorelle più piccole, poi c’era anche un’amica di mia madre, anche lei madre single con una figlia femmina, quindi c’erano sempre molte donne insieme, e in casa si occupavano di qualsiasi cosa. Mia madre aveva la sua cassetta degli attrezzi e in casa faceva tutto da sola, quindi per me non c’è mai stata distinzione tra “lavori da uomo” e “lavori da donna”, semplicemente ci sono cose da fare e si fanno.

Oggi, mio malgrado, mi ritrovo in una famiglia più tradizionale di quella in cui sono nata e cresciuta, ma anche con mio marito la divisione dei compiti è stata decisa in base ai nostri gusti.

Finché non si hanno figli è più semplice avere una relazione egualitaria, ma quando arrivano i bambini (ora capisco che è la società che ci porta a questo) riaffiorano tutti i nostri condizionamenti. 

Succede che a noi donne viene inculcato che la cura della casa sia una nostra responsabilità, quindi ce ne occupiamo, magari lamentandoci, perché se non lo faccio io e non lo fa lui, allora non lo fa nessuno. Il punto è che se non lo fa nessuno evidentemente significa che nessuno dei due ha avuto tempo, non è giusto assegnare la responsabilità in automatico a me in quanto donna. 

Io a volte mi rendo conto che potrei anche fare di più, ma non lo faccio per principio. Ad esempio io non cucino o, se lo faccio, cucino con i sughi pronti e magari quando succede mio marito mi fa la battutina. 

Ma la battutina da dove viene? Chiediamocelo!

Io posso fare una battuta su qualcosa che si discosta dallo standard, perché se la facessi su qualcosa che è considerata normalità, la battuta perderebbe completamente il suo potere comico; questo significa che la battuta su di me che preparo un sugo pronto, sottintende che ci sia, da qualche parte, l’idea che invece io dovrei cucinare. Su questo credo ci sia molto da riflettere.

Essere l’unica donna sul lavoro…

…in realtà non mi è mai capitato, ma alla fine ho sempre ricoperto ruoli junior e alla base c’è sempre più parità, le differenze ci sono salendo la scala della responsabilità.

Durante uno stage in una multinazionale della cosmetica, ad esempio, nel reparto marketing internazionale, su una decina di persone, c’era un solo uomo, ma il capo della divisione era un uomo e, mano a mano che si saliva, nonostante la direttrice del marchio fosse una donna, la percentuale degli uomini saliva velocemente.

Com’è possibile che partendo da una percentuale di donne dell’80%, appena si sale si inverta così repentinamente la rotta? Ah, già, evidentemente sono più bravi!

Oggi le donne sono più presenti…

…nel settore ingegneristico, in politica, anche se non abbastanza, nell’informatica: diciamo che nei settori tradizionalmente ad appannaggio maschile, il numero delle donne sta aumentando.

Dovrebbero essere più presenti…

…ovunque, soprattutto laddove vengono prese le decisioni.

Nel 2020 una delle cose che mi ha sconfortata di più, è stata la gestione della pandemia: nella task force donne non pervenute, nel PNNR soldi per le donne non pervenuti e dopo tutto questo ci siamo sentite dire, dal Presidente del Consiglio, che la parità di genere era una priorità e che la soluzione era una certificazione pensata per le aziende con più di 50 dipendenti, che in Italia sono la minoranza.

L’ultima beffa, in ordine cronologico, è il mancato finanziamento del congedo di paternità e quello che mi fa davvero imbestialire è che alla maggior parte degli uomini questo sembri non interessare affatto, non si battono per i loro diritti: quando diventi padre hai diritto a stare con i tuoi figli! 

E qui me la prendo con il capitalismo, che ci vuole sempre al top e performanti. Non sia mai che anche gli uomini comincino ad assentarsi dal posto di lavoro! Ma signora mia! E il prossimo passo quale sarà? La gente che vuole smettere di essere reperibile al telefono 24 ore su 24?!

E qui ritorno alla prima domanda che mi hai fatto. Il femminismo oggi serve anche a questo: a far capire agli uomini che, nonostante siano in una posizione di potere, rispetto alle donne, anche loro sono dentro una gabbia ed è una gabbia bruttissima. Ha ragione Chimamanda Ngozi Adichie: il femminismo è per tutti.

Tornando alla politica servono più donne perché, indipendentemente da quanto siano o meno attiviste e/o femministe, in quanto donne hanno vissuto determinate cose sulla propria pelle e, per forza di cose, vedono il mondo in modo diverso. 

Sono quella che sono…

…di base grazie a mia madre, non solo perché è stata una madre single e indipendente dal punto di vista finanziario, ma anche perché lei, fin da giovane, si è sempre ribellata alla cultura patriarcale nella quale era cresciuta.

Ultimamente seguo diverse professioniste straniere, per capire come incorporare al meglio il femminismo anche nel lavoro come Kelly Diels, Celia V. Harquail, Jane Charlesworth, Toi Marie Smith, Femily. Molte di loro mi hanno aiutata a capire che è necessario considerare anche le pratiche professionali, far caso alle tattiche predatorie o protocapitalistiche, come l’ossessione per la produttività: quand’è che una donna può riposarsi senza sentirsi in colpa?

Mi sono piaciuti anche il Manuale per ragazze rivoluzionarie di Giulia Blasi e Liberati dalla brava bambina di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, dove si parla del “problema senza nome”, che poi un nome ce l’ha: è il patriarcato.

In generale cerco di leggere libri sull’attivismo perché è necessario essere consapevoli delle situazioni per potere agire efficacemente nella nostra vita quotidiana. 

Di recente, grazie ad un’avvocata siciliana, Valentina Fiorenza, ho scoperto le società gilaniche, ovvero la dimostrazione che una società paritaria non solo è possibile, ma è veramente esistita! Ne ha parlato anche Rian Eisler in Il calice e la spada.

Da settembre 2021 seguo anche due percorsi formativi con Manuela Limonta, una filosofa femminista italiana.

Tra le grandi donne che potrebbero ispirare le nuove generazioni…

…mi piace molto Michelle Obama; per lei è veramente molto chiaro cosa significhi essere una donna nera che lavora e anche lei, da femminista, si è ritrovata in una situazione molto tradizionale e lo ha raccontato, dimostrando che, anche se sei bravissima, hai studiato e hai le idee molto chiare, poi la vita ti può portare a fare scelte diverse da quello che avresti voluto.

Di italiane seguo Lia Quartapelle, parlamentare del PD; mi piace perché è molto competente e fa questo sforzo di raccontare il proprio lavoro e dare il suo punto di vista sulla politica.

Qualcuno potrebbe criticare il mezzo, ma io credo che gli strumenti siano solo strumenti, anzi, devo dire che è proprio grazie a Instagram se sono riuscita ad ampliare il mio panorama femminista.

Quando parliamo di grandi donne come Michelle Obama o Kamala Harris, però, dobbiamo ricordare che si tratta di figure eccezionali e che il fatto che si trovino in posizioni preminenti, non rappresenta in alcun modo la normalità. Non possiamo permettere che vengano citate a dimostrazione del fatto che il femminismo non serve, che il razzismo non esiste. 

Le donne oggi stanno rischiando…

…nella migliore delle ipotesi che le cose restino uguali, ma la verità è che le cose stanno peggiorando rapidamente: tutti i diritti acquisiti a fatica durante gli anni 70, partendo dal diritto all’aborto, oggi sono in pericolo non in quanto diritti formali, ma in quanto diritti di fatto. 

Per cambiare le cose…

…innanzitutto è necessario che le dirette interessate capiscano bene com’è la situazione.

Nel 1980 la poetessa Audre Lord affermava che “Gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone”.

Non voglio colpevolizzare le donne, ma uno dei maggiori problemi è il patriarcato interiorizzato. Dobbiamo prendere la pillola rossa, come ha fatto Neo in Matrix e aprire gli occhi sulla nostra situazione, altrimenti siamo fritte, perché se non riusciamo a renderci conto che il problema c’è, non avremo mai lo stimolo per risolverlo.

Poi dobbiamo ritrovare, come in passato, la forza del collettivo, unirci tra donne e, cosa complicatissima, che non so proprio come si possa fare, dare spazio agli uomini, perché finché gli uomini non si renderanno conto che anche loro hanno da guadagnare dal femminismo, non so se ce la faremo.

Martin Luther King, riguardo al razzismo, diceva che il vero problema non era il Ku-Klux-Klan, ma i bianchi moderati che preferiscono l’ordine alla giustizia. Il nostro problema sono i tanti uomini che, come il caro Mario Draghi, sono sicuramente in buona fede, ma non hanno capito quale sia il problema, non capiscono perché siamo così arrabbiate.

Quindi, in ordine, partiamo da noi – le prime dirette interessate -, poi gli uomini – anche loro interessati.
Non vogliamo sottometterli: avranno un’altro tipo di libertà. Noi vogliamo semplicemente avere diritto di parola, essere considerate quanto loro: tutti hanno da guadagnare da una società più paritaria, perché il patriarcato fa male a tutti.

Nel nostro piccolo possiamo…

…cominciare eliminando il benaltrismo: il binarismo fa male, servono sia azioni locali piccole, sia azioni generali grandi, serve tutto e ogni cosa facciamo sarà utile, perché la società, la cultura, non sono cose esterne da noi.

Possiamo combattere qualsiasi cosa contrasti con la parità di genere, ad esempio cercando di trattare allo stesso modo i bambini e le bambine, stando attente a quello che consumiamo, a quello che leggiamo, in altre parole trasformando le nostre idee e i nostri valori in cose concrete, cercando di applicarli alle nostre attività quotidiane.

Stessa cosa per il nostro lavoro, soprattutto se lavoriamo in proprio (mi rendo conto che quando si lavora alle dipendenze di qualcun altro la cosa è più complessa), possiamo scegliere come e con chi lavorare, ad esempio, a parità di professionalità, scegliere una commercialista invece di un commercialista, un’avvocata invece di un avvocato, una notaia invece di un notaio; se utilizziamo immagini stock per la nostra comunicazione possiamo fare caso a quale tipo di immagini stiamo veicolando.

Sono tutte piccole cose, ma se queste abitudini si diffondono diventeranno la normalità, perché il mare è fatto di gocce d’acqua ed è vero che singolarmente una goccia d’acqua sembra non avere il potere di cambiare il mondo, ma quando sono tutte insieme diventano il mare e la cultura è proprio questo: tante piccolissime cose che prese singolarmente sembrano non avere valore, ma che tutte insieme costruiscono un mondo nuovo.

Se ci pensiamo è successa la stessa cosa con il patriarcato e il capitalismo: nessuno ci ha bloccate a sedere, stile Arancia Meccanica, per indottrinarci, ma li abbiamo comunque interiorizzati, tutto quello che abbiamo osservato, sentito e vissuto fin da bambine, sono tante piccole cose che, prese singolarmente, non hanno peso, ma messe tutte insieme assumono un significato globale imponente. 

Pensiamo all’aspetto fisico: fin da bambine ci parlano solo del nostro aspetto. Una volta cresciute questa cosa continua ad esempio nelle riviste, d’estate dobbiamo superare la “prova costume” e finché noi saremo impegnate a preoccuparci del nostro corpo e di come renderlo conforme alle aspettative, facendoci contemporaneamente carico (mentale e materiale) di tutte le cose da fare in casa, non avremo tempo da dedicare a noi stesse o, anche se avremo tempo, ci mancherà comunque l’energia per farlo.

Quindi agire, agire contro qualsiasi cosa vada contro la parità di genere, compreso usare i femminili professionali, discutere, parlare, cercare di risvegliare le coscienze e magari cercare anche di arrivare ad azioni collettive più importanti, perché non ci regaleranno niente, lo dovremo chiedere a gran voce; a volte non ci danno niente nemmeno quando lo chiediamo, quindi serve proprio una rivoluzione.

Se guardiamo la Curva di rogers per la diffusione dell’innovazione, secondo me noi femministe al momento siamo al livello Innovators, ora dobbiamo contagiare le Early Adopters, per arrivare alla Early Majority; a volte ci sembra di dovere arrivare subito alla Early Majority, ma noi siamo ancora questo zoccolo duro all’inizio. Per questo è necessario parlare di queste cose, anche se la parola femminismo non piace. Dobbiamo riuscire a sdoganarla oppure parlarne sotto copertura, tipo “parlami di femminismo senza dirmi che parli di femminismo”, ognuna può scegliere la propria strategia.

La verità è che dobbiamo proteggerci e nessuno ci può biasimare per questo. In questo gioco, qualunque cosa facciamo, veniamo colpite; possiamo scegliere se preferiamo la sofferenza di rimanere piccole e nascoste o la sofferenza di avere tutti contro e ognuna di noi fa la sua scelta, non perché la vita poi sarà migliore, ma solo perché una scelta va fatta: o siamo come Cypher, che tradisce Neo per tornare dentro Matrix, e allora questa vita è davvero quella che vuoi e va bene così, oppure in ogni caso soffriamo.

Deborah Ugolini

Le immagini, la voce e le parole hanno sempre guidato la mia passione. Ho cominciato come videoreporter e oggi mi occupo di videotelling, produzione branded podcast e formazione. Vivo con curiosità e sono fermamente convinta che nella vita non esistano esperienze o competenze inutili.

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