Il diritto di essere (im)perfette

Prendi quel lavoro a cui tieni tanto: un corso, un prodotto, un post sul blog, un servizio. È il lavoro in cui metti tutta te stessa, le tue energie, il tuo tempo, tutto ciò che sai e tutti gli extra che puoi offrire. E lo fai perché aspiri a un risultato perfetto, senza l’ombra del più piccolo errore, che sia brillante, indimenticabile, curato nei minimi dettagli. Lo fai perché sei una perfezionista (o aspiri ad esserlo).

Non c’è da biasimarti, perché realizzare IL lavoro perfetto regala infiniti momenti di gioia e soddisfazione personale, suscita negli altri ammirazione incredula e stima, permette di sentirsi professioniste (e persone) perfette e impeccabili.

Insomma, tutto molto bello se non fosse per l’immensa fatica che fai per rispettare questo standard, che ti spinge ad aspettarti da te stessa di essere quella che non sbaglia mai, che sa sempre cosa fare e come e quando farlo. E che sa farlo anche brillantemente.

Se ciò che leggi ti è familiare, questo post è per te. Lo scrivo perché voglio raccontarti i rischi che corri mentre insegui imperterrita il tuo ideale di perfezione e invitarti a vedere le cose da un altro punto di vista, che spero possa aiutarti a capovolgere la situazione quando la spinta alla perfezione inizia a bussare forte alla tua porta.

I rischi del perfezionismo

I rischi, dicevo. Secondo me, sono almeno 3:

  • Non realizzare mai i progetti a cui tieni e in cui credi, perlomeno finché non saranno perfetti. Così, a volte ti ritrovi a non consegnare per tempo il lavoro al tuo cliente perché non è ancora impeccabile (e lui, invece, ti ha scelto per un lavoro perfetto), o a rileggere e modificare il tuo post più e più volte perché ti sembra ci sia sempre qualcosa che non va ancora bene (e se lo pubblichi così non piacerà a nessuno), o a non promuovere il tuo servizio perché non ti sei ancora curata di quei dettagli che lo renderanno davvero speciale (altrimenti nessuno lo comprerà). In sostanza, rimani ferma in una sorta di limbo, in attesa dell’idea geniale che completerà l’opera. Ironia della sorte, così facendo coltivi proprio quell’insoddisfazione che stai cercando di evitare a tutti i costi.
  • Gettare la spugna al primo giudizio negativo che ricevi o al minimo errore che fai, anche quando è rimediabile. E magari succede proprio quell’unica volta che ti sei detta: “eh che sarà mai, stavolta mi butto, non è perfetto come vorrei ma andrà bene comunque!” – e poi invece non è andata bene per niente. O meglio: alcune cose sono andate bene e altre meno bene, eppure come per magia le prime vengono cancellate dalla tua memoria (o non vengono neppure notate!) per lasciar spazio esclusivamente alle seconde. Il risultato è un disastro irrimediabile, perché per definizione la perfezione non accetta difetti, neanche quelli piccoli, e la conclusione a cui giungi è che se non viene fuori una cosa perfetta, allora meglio non farla proprio. Seguono fiumi di insoddisfazione e una buona dose di senso di fallimento.
  • Vivere in uno stato di costante tensione. Perché il dubbio di non riuscire a fare (o di non aver fatto) abbastanza bene (anzi, perfettamente) è sempre in agguato, anche quando dai il massimo e gli altri ti domandano stupiti: “ma come fai a riuscirci così bene?”. Come se sapere di essere impeccabile non contribuisse a farti sentire più sicura di te, ma, al contrario, alimentasse ansia e sensi di inadeguatezza mentre ti ripeti che devi esserlo sempre, a tutti i costi.

Dall’altra parte, poi, c’è il rischio di essere imperfette, decisamente il mio preferito perché implica che puoi sbagliare, fare tardi, barcollare, rallentare, non avere la soluzione al problema o non averla ora. Tutto questo solo perché sei (soltanto) una persona e, come tale, hai il diritto di avere limiti e difetti – insomma, di essere imperfetta. È il diritto che ti permette di non sentirti tutta sbagliata solo perché hai fatto un errore, di tentare anche quando non hai la certezza che sarà un successo indimenticabile, di rimediare agli errori quando è possibile, di riprendere fiato, di accoglierti per quella che sei e a prescindere da ciò che fai o non fai.

E il tuo diritto all’imperfezione, questo grande alleato di una vita meno affannosa e più umana, che fine ha fatto? Te lo sei mai riconosciuto? Oggi voglio invitarti a recuperarlo. Conceditelo per un tempo limitato: un’ora, un’intera giornata, una settimana o un mese, scegli tu. Purché in quel tempo tu sia disposta a mandare in ferie la perfezionista che c’è in te e mettere a tacere la vocina che ti dice che se il tuo lavoro non è perfetto (ehm, leggi anche: se tu non sei perfetta) non vale e non vali neanche tu.

Potrebbe essere un esperimento interessante per scoprire che vai bene anche se non dai sempre il massimo e non raggiungi la perfezione. Ti va di provare? 🙂

Liria Valenti

Sono una psicologa e psicoterapeuta: accompagno le persone in percorsi di psicoterapia, aiutandole a sentirsi padrone della loro vita e a fare scelte più consapevoli e felici. Amo tante cose del mio lavoro, ma quello che mi piace di più è: ascoltare, (ri)costruire insieme, emozionarmi.

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