Il 17 maggio è uscito il mio nuovo ebook “Scrivere email, costruire relazioni. Tecniche per non finire nel cestino”, edito da Zandegù. Si tratta di un manuale in cui spiego come scrivere email chiare, dirette e con il giusto pizzico di personalità.
Sono felice per come lo ha presentato il mio editore (ho sempre sognato di poterlo dire e adesso lo scrivo e lo dico) e per come sono riuscita a parlarne durante questa puntata di Ladies and Capital, di Radio Capital, senza che si sentisse che fifa avevo.
In questo ebook raccolgo pensieri, considerazioni e casi mettendo a frutto tutti i miei anni di consulenza e di formazione: anni in cui ho approcciato il tema di “come scrivere una email che venga letta” in tanti modi, ma avendo in mente un unico chiodo fisso, cioè chi l’email deve leggerla. Questo verbo servile che esprime necessità (deve leggerla, è obbligato a leggerla) piano piano si trasformerà in un verbo che esprime la volontà di (vuole leggerla, ha piacere di leggerla), se scegliamo le parole con cura.
Nell’ebook ti spiego tecniche e ti svelo tranelli, in questo post ti dimostro come un’attenta riscrittura di una email formulata come risposta a una lamentela di un cliente insoddisfatto può cambiare faccia e, in alcuni casi, può cambiare segno – in maniera definitiva – alla relazione con lui o lei.
Un’email con grossi problemi
Prima
Gentile cliente,
per quanto riguarda la problematica legata al contatto telefonico e in particolare la Sua segnalazione di attese oltre i quattro minuti, abbiamo predisposto un messaggio iniziale che informa i clienti sul tempo stimato di risposta, al fine di disincentivare attese troppo lunghe che le nostre statistiche ci dicono non rappresentare lo standard.
Approfitto volentieri di questa occasione per ricordarLe che mettiamo a disposizione di tutti i nostri clienti vari canali di accesso al servizio di assistenza, quali il nostro indirizzo di posta elettronica, nonché le pagine di Facebook e Twitter, dove è attivo un servizio di assistenza al cliente dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 18,00.
Cordiali saluti.
Problemi del testo originale
“Gentile cliente”: ma cosa c’è di più noioso e senza personalità di un inizio del genere? Se un cliente ci scrive per lamentarsi di un prodotto o di un servizio, sappiamo bene come si chiama, quindi usiamo il suo nome.
“Problematica”: continuiamo a preferirla a problema, perché – come tematica/tema – ci sembra la variante più appropriata in un contesto formale. Ricordiamoci che problema e tema sono concreti, più semplici e più diretti. Le persone ci arrivano prima.
“La problematica legata al contatto telefonico e in particolare la Sua segnalazione di attese oltre i quattro minuti”: modo burocratico di esprimersi che esprime lontananza rispetto a chi scrive (che è appunto un generico gentile cliente) e che con la maiuscola di reverenza “Sua” di sicuro non aiuta a rendere meno ingessata la risposta (fa coppia con il “ricordarLe” che c’è dopo).
Stile burocratico ripreso anche nel seguente: “al fine di disincentivare attese troppo lunghe che le nostre statistiche ci dicono non rappresentare lo standard”.
Ti prego di notare che in 10 righe c’è quattro volte la parola cliente: che male c’è, penserai. C’è che sto rispondendo a una persona che si lamenta, che ha un nome e che per quattro volte si sente spossessata della propria identità, tra l’altro messa bene in evidenza dal nome e dall’indirizzo email (e magari anche da un numero di telefono).
Allora, come la riscriverei io?
Così.
Riscrivere una email in maniera efficace
Buongiorno Francesca,
ci spiace che tu abbia dovuto aspettare così tanto, il nostro messaggio iniziale ti avvisa del tempo medio di risposta proprio per evitare lunghe attese. È anche vero però che, nell’ultimo periodo, stiamo ricevendo davvero tante telefonate e quindi, a volte, siamo in affanno.
Se hai bisogno di noi, puoi contattarci anche al nostro indirizzo di posta elettronica, su Facebook e su Twitter: ci siamo sempre dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 18.
Se possiamo, rispondiamo a ogni tua richiesta, senza farti aspettare.
Un caro saluto.
Note sulla riscrittura
Ho recuperato il nome della gentile cliente e ho aperto la mia riposta con un “Buongiorno” che risulta sempre un ottimo incipit quando si entra in casa di qualcuno: la casella di posta di qualcuno che non conosciamo (e anche di qualcuno che conosciamo) dovrebbe essere inviolabile, quindi, così come non dobbiamo diventare spammer, è bene che impariamo a salutare col sorriso sulle labbra.
Il “ci spiace” messo subito all’inizio è un ottimo modo per smussare il fastidio che – è molto probabile – ha spinto la persona a scriverci. Chiedere scusa subito è sempre la via giusta per ripristinare una situazione di calma: è come se dicessimo “ti chiedo scusa e quindi abbassa quei pugni, ok?”.
La frase “la problematica legata al contatto telefonico e in particolare la Sua segnalazione di attese oltre i quattro minuti” è diventata: “ci spiace che tu abbia dovuto aspettare così tanto”. Allora? Chiamiamo le cose con i loro nomi, concreti, precisi, vicini all’esperienza quotidiana delle persone.
“Abbiamo predisposto un messaggio iniziale che informa i clienti sul tempo stimato di risposta, al fine di disincentivare attese troppo lunghe che le nostre statistiche ci dicono non rappresentare lo standard” è diventato: “il nostro messaggio iniziale ti avvisa del tempo medio di risposta proprio per evitare lunghe attese”. Scrivere in maniera chiara e concreta aiuta la sintesi, come puoi notare.
Perché ho inserito “È anche vero però che, nell’ultimo periodo, stiamo ricevendo davvero tante telefonate e quindi, a volte, siamo in affanno”? Perché se non dobbiamo certo cospargerci il capo di cenere, è bene che forniamo alcune indicazioni di contesto: aiutano chi ci scrive a capire la complessità che, spesso, condisce il nostro lavoro. Il tutto ribadito e rafforzato con la frase “Se possiamo, rispondiamo a ogni tua richiesta, senza farti aspettare”.
E poi i saluti finali: dimentica i “Cordiali saluti” e saluta col cuore.
Se scrivi una email scegliendo le parole a una a una e pensando sempre a chi la leggerà, stai facendo molto di più che scrivere. Stai curando una relazione.
C’è forse qualcosa di meglio?
Un post interessante. Comprerò il libro, l’argomento mi tocca da vicino.
Se posso permettermi un contributo, vorrei segnalare che molti manager insegnano ai propri sottoposti che la parola “problema” evoca negatività e che perciò non va usata. Meglio evitarla restando sul generico. Certo tra problema e problematica non è che ci sia tutta questa differenza, però mi è capitato personalmente di essere rimproverato per l’uso della parola “problema” con i clienti anche in contesti assolutamente non belligeranti.
Il post mi ha però suscitato una domanda.
Dichiarando “nell’ultimo periodo, stiamo ricevendo davvero tante telefonate e quindi, a volte, siamo in affanno” non è che spingiamo l’interlocutore a pensare che siamo sotto organico e che faremmo meglio ad assumere del nuovo personale evitando di fare i taccagni come al solito?
Mi spiego meglio, concordo sul fatto che mostrarci vulnerabili una fase chiave dalla nostra conversazione, ma non ci siamo spinti troppo oltre?
Ciao Giorgio!
La parola problematica è la formula più astratta e burocratica di problema e la sconsiglio proprio: meglio problema che fa pensare agli inconvenienti che ci succedono tutti giorni e che, poi, si risolvono. Io non sono della scuola “cerca per forza un sinonimo”, né della scuola “mai la parola problema”, né di quella “mai chiedere scusa”. Ciò che fa la differenza sono il tono, la voce, l’approccio. Se chi risponde è sincero e cerca una soluzione, chi legge “problema” pensa anche lui alla soluzione e meno al problema. Grazie che leggi con tanta attenzione, è proprio una bella soddisfazione 🙂
mi pareva di aver scritto un commento, ma non lo vedo più, possibile?